La grande caldera flegrea è un unicum in Europa che si estende a ovest di Napoli tra la collina di Posillipo, Bagnoli e i comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto e Giugliano. L’area vulcanica comprende diversi crateri - i più famosi sono quelli della Solfatara e il lago d’Averno, la porta degli Inferi secondo Dante e Virgilio – ed è tornata al centro delle cronache negli ultimi mesi per il sollevamento del terreno causato da variazioni di pressione sotterranea legate ad attività magmatico-idrotermale.
In realtà il fenomeno del bradisismo è in atto dal 2005, dopo praticamente vent’anni di quiescenza, anche se ha subito una decisa accelerazione a partire da Giugno 2022 quando si è registrato un aumento crescente della sismicità (oltre 500 le scosse negli ultimi due mesi), compresa quella più intensa nella notte del 27 settembre (magnitudo 4.2), la più forte degli ultimi 39 anni.
“Tecnicamente siamo in presenza di una lente di rigonfiamento del suolo di circa 115 centimetri, con il suo picco nel centro costiero di Pozzuoli per poi diminuire a distanza di 4-5 chilometri, dove scende sotto i 10 centimetri”, prosegue Mastrolorenzo. “In questo territorio compreso tra Pozzuoli, Astroni, Solfatara-Pisciarelli e Agnano sono concentrati i terremoti di intensità superiore a magnitudo 2 e il sollevamento di questi ultimi mesi.”
Il livello di sismicità raggiunto è ormai simile a quello dell’ottobre-dicembre 1983, quando una lunga sequenza di scosse, centinaia al giorno, con punte di magnitudo 3.8-4.0, lesionò un gran numero di case, già segnate dal pesante terremoto dell’Irpinia (23 novembre 1980).
La gente è spaventata, l’aumento della frequenza e dell’intensità dei terremoti alimenta i timori di una possibile eruzione, le autorità vanno in ordine sparso e i turisti disdettano le prenotazioni nonostante il supplemento estivo di queste settimane.
Guardate la figura sotto: mostra la mappa di velocità media dello spostamento verticale subito dal suolo dei Campi Flegrei dal 2011 ad oggi. La mappa è stata realizzata da IREA (Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente) elaborando i dati satellitari acquisiti da COSMO-SkyMed e messi a disposizione da ASI tramite il progetto Map Italy. Il colore verde indica le zone principalmente stabili, mentre le aree gialle, arancioni e rosse sono quelle che hanno subito uno spostamento del suolo. In particolare, la mappa mostra che negli ultimi 12 anni la caldera dei Campi Flegrei è stata interessata da un sollevamento che presenta un massimo in prossimità del Rione Terra, come già spiegato prima nella zona costiera di Pozzuoli.
Le elaborazioni di IREA, inoltre, sono in grado di ricostruire l’evoluzione dello spostamento del suolo nel tempo. Il grafico, infatti, indica l’andamento temporale dello spostamento per un punto localizzato nell’area di massimo sollevamento che, a partire dal 2011, è stato di circa 105 cm, alternando periodi di accelerazione e rallentamento.
Martedì 7 novembre il ministro della Protezione Civile, Nello Musumeci, ha incontrato i sindaci del territorio flegreo confermando lo stato di allerta giallo e decidendo la creazione di una zona rossa ristretta per l’emergenza bradisismica, da non confondersi con quella più larga per il rischio eruttivo (ne parliamo più avanti), anche se i due fenomeni sono strettamente intrecciati come confermato dallo stesso Musumeci. “L’insieme dei risultati scientifici – ha detto il ministro - rafforza l’evidenza del coinvolgimento di magma nell’attuale processo bradisismico.” Sarebbe, dunque, anche la lava nel sottosuolo a causare i fenomeni di sollevamento e, quindi, i terremoti.
La nuova zona rossa bradisismica interessa una popolazione di 84.961 abitanti suddivisi tra i 9.933 nel comune di Bacoli, i 30.389 tra i quartieri napoletani di Bagnoli, Soccavo, Agnano, Pianura, Fuorigrotta e Posillipo e i 44.639 nel comune di Pozzuoli. E un patrimonio edilizio da controllare pari a 15.516 edifici (2.604 a Bacoli, 3.332 a Napoli, 9.580 a Pozzuoli). Su questa porzione di territorio agirà il decreto-legge del governo “Misure urgenti di prevenzione del rischio sismico connesso al fenomeno bradisismico nell’area dei Campi Flegrei”, approvato il 13 ottobre scorso e attualmente in fase di conversione in Parlamento.
“Si ragiona finalmente di una zona rossa bradisismica in cui calare le attività previste dal decreto”, conferma il sindaco di Pozzuoli, Gigi Manzoni. “L’obbiettivo è approvare il più velocemente possibile il testo di legge recependo alcune migliorie che abbiamo segnalato al ministro, in modo da metterci nelle condizioni di avviare una vera prevenzione e mitigazione del rischio.”
“Il decreto è una buona base di partenza ma va migliorato in Parlamento”, spiega il sindaco di Bacoli, Josi Della Ragione. “Ad esempio, la dotazione finanziaria, circa 50 milioni di euro, non è sufficiente per le esigenze del territorio e andrà incrementata. Chiediamo anche di aumentare oltre le dieci unità il personale della struttura di Supporto del Capo di Protezione Civile, di adottare il sismabonus e di preparare delle vere vie di fuga; le aspettiamo da 40 anni. Si è molto costruito su questi territori, ora vanno resi più resilienti.” Poi bisognerà organizzare “esercitazioni e prove di evacuazione nei 125 istituti scolastici dell’area interessata, nelle aziende, negli uffici pubblici” - anche se quella svolta nel 2019 è andata mezza deserta - “e informare la cittadinanza in sinergia con gli altri comuni, le istituzioni nazionali e la Protezione Civile”, continua Manzoni.
L’impressione è che le istituzioni, specie locali, tendano a rimuovere il rischio vulcanico concentrandosi quasi esclusivamente su quello sismico, certamente il più probabile. “Il bradisismo non necessita di evacuazioni ma di manutenzione del territorio e controllo degli edifici” è il ritornello che ripetono tutti o quasi da queste parti: sindaci, commercianti, albergatori e associazioni attive sul territorio.
“Purtroppo, le eruzioni non sono prevedibili”, allarga le braccia Mastrolorenzo. “Le caldere sono vulcani particolarmente insidiosi. Anche eruzioni di media entità, sub pliniane o pliniane (come quelle accadute negli ultimi 10mila anni), metterebbero a rischio fino a 3 milioni di persone, l’intera città metropolitana di Napoli.”
Non solo. La caratteristica dei Campi Flegrei è che non esiste un punto unico di eruzione, l’esplosione potrebbe avvenire in qualsiasi zona della caldera.
Per questo il piano nazionale di protezione civile, che risale al 2019, richiederebbe un aggiornamento costante e frequenti simulazioni. Ad oggi divide il territorio interessato in due: la zona rossa, esposta al pericolo di invasione di flussi piroclastici, in cui sono ricompresi i comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida e Quarto, parte dei Comuni di Giugliano, Marano di Napoli e alcune municipalità del capoluogo regionale per un totale di circa mezzo milione di residenti; e, al suo esterno, la zona gialla, in caso di eruzione esposta alla ricaduta di ceneri vulcaniche, dove vivono circa 840 mila persone in numerosi Comuni della cintura metropolitana come Villaricca, Calvizzano, Mugnano, Melito e Casavatore insieme a 24 quartieri del Comune di Napoli.
I livelli di allerta per i Campi Flegrei sono quattro (verde, giallo, arancione, rosso) e descrivono lo stato di attività del vulcano. Se il livello diventa arancione, di norma scatta la fase di “preallarme”: in questa situazione, in zona rossa, è previsto il trasferimento delle persone presenti negli ospedali (quattro, oltre a diverse case di cura) e negli istituti penitenziari (due), mentre le persone che vogliono allontanarsi possono farlo ma solo autonomamente.
Potranno trasferirsi presso una sistemazione alternativa, ricevendo un contributo economico da parte dello Stato. Alla dichiarazione di “allarme”, con un livello di allerta rosso, tutti devono invece abbandonare la zona rossa e possono scegliere di farlo in modo autonomo o assistito, secondo modalità e un cronoprogramma previsti dal piano di protezione civile che contemplano il trasferimento - in nave, treno o pullman - presso città e regioni gemellate.
“Il piano di evacuazione secondo me è sottodimensionato perché si riferisce ad un quadrante di 500 mila persone ed è basato sul presupposto di ‘precursori’ capaci di anticipare l’eruzione, permettendo così di attivare l’evacuazione con 72 ore di anticipo”, ripete Mastrolorenzo. “Si tratta di una supposizione probabilistica senza fondamenti scientifici.”
Peraltro, i comportamenti pregressi non aiutano affatto a vincere lo scetticismo della gente né inducono facili ottimismi, anzi. A partire dalla metà degli anni Ottanta, alla fine della crisi bradisismica del biennio 1983-1984 che sollevò l’area del porto di ben 185 centimetri, “abbiamo già sperimentato una legge speciale, la 887, che ha creato in città enormi storture senza risolvere alcun problema”, spiega Riccardo Volpe, imprenditore del terzo settore e consigliere comunale di opposizione con la lista Pozzuoli Ora. “I risultati sono state opere mai finite, parcheggi costati 70 milioni di euro che dovrebbero fungere da snodi strategici per l’evacuazione, vie di fuga incomplete, veri e propri obbrobri come il tunnel tra Lucrino e Arco Felice oppure infrastrutture pronte, come il collegamento tangenziale-porto, ma non ancora inaugurato. Soprattutto, ci siamo trascinati un commissariato straordinario di governo per 40 anni. Insomma, follia…”
La mappa topografica di Pozzuoli è piuttosto semplice. Rione Terra è un borgo costruito su uno sperone di tufo a picco sul mare, il cuore storico fin da tempi della Puteoli romana quando la località costiera era il porto che garantiva l’arrivo delle granaglie dall’Egitto. Sotto il promontorio c’è la parte antica e di pregio della cittadina, la piana affacciata sul mare. Alle spalle del porto c’è la solfatara e, sul costone del cratere, il rione popolare omonimo.
Nel 1984 con l’evacuazione forzata del centro storico di Pozzuoli e lo stanziamento del governo di quasi 750 miliardi di lire nascerà invece il quartiere di Monterusciello, una collina invasa da canneti e alberi a dieci chilometri dalla città dove verranno costruiti, tra gli altri, 4.600 nuovi alloggi provvisori.
“Monterusciello ha una maglia urbana svedese. Grandi piazze, viali alberati, strade larghe ma la gestione dei luoghi è stata un flop”, racconta Ettore Giampaolo, memoria storica cittadina e animatore del movimento “Appello per Rione Terra”.
Le chiamano ancora le “case Zamberletti”, dal nome del ministro che le consegnò agli sfollati.
Negli ultimi anni a Monterusciello sono arrivati alcuni servizi essenziali ma non esiste un vero centro né luoghi di aggregazione. Resta in larga parte un quartiere dormitorio.
“Capite? Non vogliamo che si ripeta la stessa speculazione immobiliare degli anni Ottanta quando le case intorno a via Napoli, nella zona più bella della città, furono svendute dagli sfollati e poi rivendute al triplo del prezzo ai napoletani che venivano ad abitare sulla litoranea”, s’immalinconisce Giampaolo.
La “fuga” di metà anni Ottanta non è stata l’unica vissuta dagli abitanti di Pozzuoli. Una dozzina di anni prima, nel 1972, ci fu la dolorosa evacuazione di Rione Terra, seguita alla crisi bradisismica del biennio precedente, che portò alla nascita del quartiere popolare di Toiano alle spalle della fascia costiera. Una zona così umida che non si era mai costruito nulla.
Migliaia di persone e intere famiglie di pescatori furono spostati nell’entroterra, con il governo costretto a mandare i militari perché si temevano rivolte.
I primi insediamenti di Toiano sono stati tre file di costruzioni in cemento armato, i cosiddetti “carri armati”. La gente non riconosceva la propria casa perché erano tutte uguali, lasciava sul balcone un asciugamano o una canottiera per non sbagliare ingresso.
Qualche anno fa hanno chiesto ad una ragazza di 18 anni, nata e cresciuta a Toiano, di esprimersi sul suo rione e su cosa servirebbe per migliorarlo. Queste sono alcune delle sue risposte:
“Ho sempre sentito la mancanza di luoghi d’incontro diversi dalle piazzette, i muretti di cemento, o le panchine dove sedersi a parlare; crescendo, mi sono spostata verso Napoli, ma più spesso vado a Pozzuoli, dove almeno un po’ di vivacità si trova ancora.”
“Ci dovrebbero essere più autobus, soprattutto la sera e nei giorni festivi, per potersi spostare meglio verso Pozzuoli, e Napoli. La domenica, nei giorni di festa, è un mortorio, se non trovi chi ti accompagna con l’auto sei costretta a tornare presto a casa…poi il quartiere è degradato, ci sono solo le scuole e basta… non lo so da dove bisognerebbe iniziare, io spero di trovare un lavoro” fuori”, come hanno fatto altre amiche… perché vivere qui è troppo triste.”
La parola giusta è “sradicamento”. Pozzuoli vive da sempre in simbiosi con il mare. Senza, non scatta l’integrazione. “In città c’è ancora chi pensa che il bradisismo fu una scusa per sgomberare gli abitanti da un rione in cui si viveva in condizioni abitative, anche igienico-sanitarie, molto precarie”, abbozza Giampaolo. Chissà.
Di certo cinquant’anni dopo, nel bel mezzo di una nuova fase di intenso sollevamento, la coesistenza con il bradisismo nei Campi Flegrei rimane un rompicapo irrisolto. Mancano le vie di fuga e su quelle poche si fa poca manutenzione. Il patrimonio immobiliare pubblico e privato è vetusto o non è stato messo in sicurezza antisismica (il 76% degli edifici nell’area metropolitana di Napoli non è a norma); e basta girare tra le zone del porto di Pozzuoli, l’area della Solfatara, via Campana o il quartiere di Agnano per accorgersene. Non esiste una legge sulla “non edificabilità” nella zona rossa. E la popolazione non saprebbe cosa fare in caso di eruzione o di forte terremoto. Lo ammette anche il ministro Musumeci: “Un piano di emergenza per il bradisismo, qui non è mai esistito.”
“Dal punto di vista geomorfologico i Campi Flegrei hanno un carattere unico”, spiega Bruna Di Palma, docente di progettazione architettonica e urbana all’Università Federico II di Napoli. “L’alta intensità di variazioni nell’andamento del suolo ha costretto storicamente una maggiore concentrazione degli insediamenti nelle parti di territorio più pianeggiante. Questo ha prodotto un continuum antropico e una fortissima commistione/sovrapposizione tra edilizia recente e patrimonio archeologico, rilevante non solo a Pozzuoli.”
L’iper-sfruttamento del suolo disponibile “è una peculiarità di tutte le conche vulcaniche fino almeno a Pianura di Napoli, e questo rende più complicati ad esempio i piani di evacuazione”, prosegue la docente.
A Pozzuoli, la via di fuga principale creata dopo il 1983 per raggiungere il litorale Domizio si riduce ad una stradina in saliscendi che attraversa il colle tra Lucrino e Baia. “S’intasa normalmente con il traffico estivo, pensate se ci fosse la necessità di evacuare migliaia di persone contemporaneamente”, spiega Antonio Russo, giornalista, direttore di Pozzuolinews24.
Spesso i terreni recuperati intorno alle vie di fuga sono stati occupati da costruzioni fantasma. Secondo le stime dell’urbanista dell’Università di Napoli, Pasquale Miano, nella zona rossa il 20% delle abitazioni è abusivo. “In altri casi le vie di fuga da e verso Napoli sono molto antropizzate, servirebbero demolizioni strategiche, o ci sono cantieri e deviazioni che rischiano di rallentare l’evacuazione”, prosegue Russo.
A Pozzuoli c’è poi un altro problema, proprio per la sua morfologia: la gestione delle acque. “Spesso le strade che dovrebbero accogliere i flussi di evacuazione si allagano”, precisa Di Palma.
La verità è che se capitasse un terremoto forte o addirittura un’eruzione sarebbe il caos. La Protezione Civile ha piani definiti su carta ma “liberare” in emergenza un’area così congestionata come la città metropolitana di Napoli, sarebbe complicatissimo. Secondo i calcoli di Legambiente Campania, “volendo evacuare la zona rossa dovrebbero muoversi contemporaneamente 240mila auto private in 72 ore di allarme. Molto difficile per la viabilità esistente.”
Così, come spesso accade in Italia, ci si affida allo stellone.
I Campi flegrei e il loro bradisismo sono una perfetta metafora del nostro paese. La dimostrazione di come facciamo fatica a gestire la fragilità dei territori e di come passiamo, ciclicamente, dalle grandi emozioni per tragedie e calamità naturali, alle grandi rimozioni.
“Nel 1956 in Italia era urbanizzato il 2,8% del territorio nazionale. Secondo gli ultimi dati di Ispra siamo arrivati all’8,3%. Abbiamo triplicato l’urbanizzazione nel giro di settant’anni. Possiamo espanderci, ci mancherebbe, ma senza costruire in modo intensivo, quando non abusivo, su versanti franosi, sistemi alluvionali o a rischio sismico”, ragiona Erasmo D’Angelis, che al tempo del governo Renzi ha coordinato la struttura di missione “Italia sicura” contro il dissesto del territorio e ai terremoti ha dedicato un bel libro, Ripariamo l’Italia (Giunti).
“Pensate che in Italia su circa 12 milioni di edifici censiti, 4 milioni sono a rischio lesione o crollo. Abbiamo un ritardo pazzesco in questo campo, come dimostrano proprio i Campi Flegrei”, conclude D’Angelis. “Nel frattempo, le nostre imprese lavorano all’estero, in paesi e regioni sismiche come Giappone, California, Nuova Zelanda e Turchia, esportando tecnologie e know how sui terremoti. Ma non in Italia.” Paradossale, eh?