Da inizio 2021, la quota di imprese manifatturiere italiane che lamenta difficoltà di reperimento di manodopera è aumentata di più di sei volte.
Una carenza che accomuna tutte le regioni e macrosettori, risultando più pronunciata per servizi e costruzioni.
I saldatori ad arco elettrico, i medici di medicina generale, e gli elettronici sono le figure più “introvabili”.
38 miliardi €
È questa la perdita di valore aggiunto per l’economia italiana che deriva dal mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Il dato è di Unioncamere.
A contribuire alle difficoltà del mercato del lavoro italiano sono soprattutto le dinamiche demografiche. Il nostro Paese presenta il tasso di natalità più basso d’Europa.
393 mila
Sono i nati residenti in Italia nel 2022. Un nuovo record in negativo, con un trend calante che continua dal 2008.
Il numero di morti è costantemente superiore a quello delle nascite da trent’anni, con solo due eccezioni: nel 2004 e nel 2006.
La popolazione sta conseguentemente invecchiando così come la forza lavoro, ridottasi di due milioni nell’ultima decade.
Ovvero l’ingresso di nuovi giovani nel mercato del lavoro non compensa l’elevata fuoriuscita (per pensionamento o mortalità) di lavoratori, principalmente della generazione dei baby boomer, quantificabile in circa 2,7 milioni di persone nei prossimi quattro anni.
I trend demografici previsti nei prossimi decenni rischiano di accrescere ulteriormente tali dinamiche distorsive nel mercato del lavoro.
Secondo gli scenari Istat, al 2050 la popolazione italiana potrebbe diminuire fino a poco più di 50 milioni di abitanti.
Per poi decrescere di ulteriori 10 milioni al 2080, e assestarsi intorno a tale cifra nei successivi decenni di fine secolo.
Il rapporto tra pensionati e lavoratori passerebbe dall’attuale 1:4 a 1:1 già a metà del secolo e oltre un quarto del PIL nazionale rischierebbe di essere assorbito da pensioni e sanità.
A fronte dei numeri sopra citati, diventa ancora più prioritario risolvere le principali criticità del mercato del lavoro italiano.
Popolazione NEET italiana
1,67 milioni
Andando per esempio a diminuire rapidamente la quota di giovani di età compresa tra 15 e 29 anni che non studia né lavora (NEET), pari al 19%, con picchi sopra il 30% in alcune province del Mezzogiorno.
Solo la Romania fa peggio di noi. Per raggiungere gli obiettivi dell’UE – non oltre il 9% al 2030 - servirà un miglioramento doppio di quello avvenuto nell’ultimo decennio.
MEDIA UE
53,92%
Altrettanto importante sarà per il sistema Paese accelerare sullo sviluppo delle competenze digitali per intercettare al meglio le evoluzioni del mercato del lavoro legate alla transizione tecnologica in corso.
Ad oggi l'Italia occupa le ultime posizioni della graduatoria europea per quota di popolazione con almeno competenze digitali "di base".
Ovvero, pur escludendo le fasce più giovani e anziane, poco meno della metà degli italiani fatica a produrre e modificare contenuti digitali, ad utilizzare software informatici per la risoluzione di problemi e a utilizzare canali di comunicazione digitale.
Guardando ai 30 settori con la maggiore tendenza occupazionale al 2030, oltre il 50% sono direttamente correlati all’informatica e alla tecnologia in generale.
Figure come gli ingegneri esperti di progettazione e implementazione di sistemi di machine learning o gli sviluppatori di dispositivi IoT saranno sempre più richieste.
Un trend già evidente negli ultimi due anni: gli annunci di lavoro in Italia che menzionano l’AI o l’AI generativa sono quasi quintuplicati.
Di conseguenza la domanda di competenze nel Paese si sposterà progressivamente verso quelle più specializzate a discapito di quelle più generiche.
In questo contesto acquista ancora più importanza il sostegno alla formazione nelle cosiddette materie STEM (Scienze, ICT, Ingegneria e Matematica).
In Italia la quota di laureati in queste discipline è rimasta pressoché stabile dal 2010 risultando pari a un quarto del totale.
Il dato italiano è sostanzialmente in linea con quello francese, che è superiore di soli 2 punti percentuali con una percentuale di laureati in discipline STEM del 26%.
Tra le principali economie europee spicca il 35% della Germania, ovvero 11 punti percentuali in più rispetto al nostro Paese.
Ulteriore supporto al mercato del lavoro nazionale può arrivare dalle politiche migratorie.
In primo luogo, per quanto riguarda i migranti regolari in entrata, si potrebbe maggiormente incentivare e facilitare l’ingresso in Italia di profili stranieri specializzati e in linea con i fabbisogni del sistema produttivo.
Un modello applicato ad esempio in Giappone, che si può aspirare a replicare per quanto la posizione geografica italiana renda alquanto più complessa una tale selezione dei flussi migratori.
Parallelamente, limitare i fenomeni emigratori dei giovani italiani aumenterebbe il capitale umano a disposizione del Paese.
In questo senso il grafico presentato può trarre in inganno.
I dati Istat sottostimano fino a un terzo i flussi migratori in uscita per via della frequente mancata iscrizione all’AIRE di molti degli italiani che vanno a vivere in un altro Paese UE.