Transizione 5.0
Rilanciare la competitività è il nuovo mantra dell’Unione Europea. Prima il rapporto Letta e successivamente quello Draghi hanno suonato la carica in questo senso, andando a descrivere il rischio per l’Europa di rimanere indietro rispetto a Stati Uniti e Cina, in mancanza di una vera e propria strategia industriale comunitaria.
In particolare, come viene decritto dall’ex presidente della BCE nel suo report “The future of European competitiveness”, il divario tra UE e USA in termini di PIL ai prezzi del 2015 è raddoppiato negli ultimi due decenni. Una divergenza principalmente dovuta alla minore crescita della produttività registrata nell’UE rispetto che sull’altra sponda dell’Atlantico.
Questa dinamica risulta doppiamente allarmante se consideriamo l’Italia che, come noto, vive una stagnazione della sua produttività dall’inizio del millennio. Nel nostro Paese, la produttività reale per ora lavorata è infatti aumentata del solo 2% dal 2000, a dispetto di tassi di crescita superiori al 10% per Germania, Spagna e Francia.
Indice della produttività reale per ora lavorata
Non tutti i settori registrano ugualmente questo trend, con il manifatturiero che, ad esempio, ha visto un incremento del 20% nella sua produttività negli ultimi due decenni. Tuttavia, come evidenziato sempre nel report Draghi, l’industria manifatturiera europea è chiamata a far fronte a una domanda estera più debole, specialmente da parte della Cina.
Contemporaneamente, subisce pressioni competitive crescenti da parte delle imprese cinesi: la quota di settori in cui sono in diretta concorrenza con gli esportatori dell'area euro è ora vicina al 40%, rispetto al 25% del 2002.
Nuovamente, il tema è particolarmente sensibile per l’Italia, considerata la sua alta vocazione all’export, grazie a cui si colloca al sesto posto nella graduatoria dei principali Paesi esportatori mondiali di merci.
Il Piano Transizione 5.0, promosso da Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ha l’obiettivo di supportare il processo di trasformazione digitale ed energetica delle imprese ubicate nel territorio dello Stato italiano, a prescindere dalla loro forma giuridica, settore economico, dimensione o regime fiscale adottato.
In particolare, introduce un credito d’imposta, proporzionale alla spesa sostenuta e alla riduzione dei consumi, per i nuovi investimenti effettuati tra l’1° gennaio 2024 e fino al 31 dicembre 2025, nell’ambito di progetti di innovazione che comportano una riduzione dei consumi energetici.
La riduzione dei consumi della struttura produttiva dovrà essere non inferiore al 3%, o, in alternativa, è richiesta una riduzione dei consumi energetici dei processi interessati dall’investimento non inferiore al 5%. Si specifica che ai fini della applicazione della misura rientrano tra i beni oggetto di agevolazioni:
i software, i sistemi, le piattaforme o le applicazioni per l'intelligenza degli impianti che garantiscono il monitoraggio continuo e la visualizzazione dei consumi energetici e dell'energia autoprodotta;
i beni materiali nuovi strumentali all’esercizio d’impresa finalizzati all’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili destinata all’autoconsumo, a eccezione delle biomasse;
spese per la formazione del personale nell’ambito di competenze utili alla transizione dei processi produttivi (nel limite del 10% degli investimenti effettuati nei beni strumentali e nel limite massimo di 300 mila euro).
A fronte di queste sfide, si evidenzia il razionale di un piano come Transizione 5.0 che si pone l’obiettivo di supportare le aziende italiane a investire in digitalizzazione, transizione green e formazione del personale. Vediamo, attraverso una serie di grafiche interattive, la necessità e l’urgenza di ciascuna di queste aree di investimento.
Quota di aziende che utilizzano una qualsiasi tecnologia di Intelligenza Artificiale
In Italia solo una azienda ogni venti utilizza nella sua operatività un qualche tipo di applicazione di intelligenza artificiale. Una performance tra le dieci peggiori a livello UE che dovrà essere invertita per sfruttare il potenziale di questa tecnologia nel ridurre i consumi energetici e aumentare la crescita della produttività.
Come scrive Draghi nel suo report, la ragione principale per cui la produttività dell'UE si è discostata da quella degli Stati Uniti, a metà degli anni '90, è stata proprio l'incapacità di capitalizzare la prima rivoluzione digitale, legata all’avvento di Internet. Basti pensare che sette delle prime dieci aziende tecnologiche del mondo per capitalizzazione di mercato sono statunitensi. Mentre anche allargando la classifica alla top 100 si trovano solo dieci aziende europee e di queste nessuna è italiana.
Come evidenziato nel European Innovation Scoreboard della Commissione Europea, l’ecosistema tecnologico italiano può contare su piccole e medie imprese molto attive nell’introdurre innovazioni tecnologiche di prodotto ma sconta un mercato dei capitali di rischio non sufficientemente maturo e bassi livelli di investimento in ricerca e sviluppo.
Incentivi ad investimenti in software, e applicazioni per l'intelligenza degli impianti rappresentano quindi una chance da non perdere per fare fronte alle lacune sopra citate e rilanciare la dinamica della produttività.
Andamento storico del Prezzo Unico Nazionale
Un secondo elemento cardine nel determinare per le aziende dell’UE uno svantaggio competitivo e quindi produttivo rispetto ai competitor extra-europei è il costo dell’energia. Anche se i prezzi dell'energia in Europa sono diminuiti considerevolmente rispetto ai picchi dell’estate del 2022, rimangono 2-3 volte superiori a quelli degli Stati Uniti.
Anche su questo tema, l’Italia si trova in una posizione di ulteriore svantaggio rispetto al resto degli Stati membri. Nel nostro Paese il prezzo dell’elettricità all’ingrosso, il cosiddetto PUN, si è infatti attestato nel 2024 a una media di oltre 100 euro al MWh, del 50% superiore al prezzo medio tedesco, e circa il doppio più grande che in Francia.
La buona notizia è che l’intensità energetica italiana - approssimazione dell'efficienza energetica dell'economia nazionale che misura la quantità di energia necessaria per produrre un'unità di PIL - è la migliore tra le grandi economie europee.
Di conseguenza, continuare a rafforzare l’efficientamento energetico e l’utilizzo di fonti rinnovabili da parte delle aziende nostrane risulta una priorità non solo per le sue esternalità positive in termini di sostenibilità ma anche per il relativo risparmio di costi.
Quota di imprese manifatturiere che lamenta la scarsità di manodopera quale ostacolo alla produzione
Un ruolo competitivo nella doppia transizione, digitale e verde, non può infine prescindere da una sufficiente disponibilità di competenze e occupati. Guardando a questa dimensione, emerge una evidente vulnerabilità per l’Europa. Secondo i Population Prospects delle Nazioni Unite, nei prossimi due decenni la forza lavoro nell’UE è stimata diminuire ogni anno di due milioni.
Le prospettive demografiche sono ancora meno rosee per l’Italia. Sulla base delle proiezioni di Adapt, la popolazione attiva nel nostro Paese, ridottasi di due milioni nell’ultima decade, rischia di diminuire di ulteriori tre milioni al 2040.
Si tratta di un trend con cui le aziende faticano sempre più a convivere. Da inizio 2021, la quota di imprese manifatturiere italiane che lamenta la scarsità di manodopera quale ostacolo alla produzione è aumentata di quasi quattro volte.
Investimenti 5.0 per la formazione del personale per quanto non possano essere l’unica cura a un equilibrio demografico precario, rappresentano quindi una necessità condivisa nel tessuto produttivo comunitario e italiano.
Un tessuto produttivo che di fronte alle macrodinamiche fin qui descritte è ancor più chiamato ad innovare e innovarsi per evitare che il rilancio della produttività resti solo un mantra dibattuto nei report europei.