Cop26, i grafici dell’emergenza climatica

I Paesi che emettono più CO2, gli effetti sulle temperature, i settori produttivi coinvolti

L’appuntamento è a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre. In Scozia – con un anno di ritardo causa Covid – si svolge la COp26, ovvero la ventiseiesima Conferenza delle Parti, la riunione annuale dei 197 Paesi che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazione Unite sui cambiamenti climatici approvata quasi 30 anni fa, nel 1992.

Quella di Glasgow è la conferenza più importante dopo quella che si tenne a Parigi nel 2015, quando per la prima volta tutti i Paesi accettarono di impegnarsi per limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi, puntando a limitarlo a 1,5 gradi. Era nato lo storico Accordo di Parigi in cui ciascun Paese si è impegnato a elaborare un piano nazionale per la riduzione delle proprie emissioni, detto Nationally Determined Contribution (NDC) o “contributo determinato a livello nazionale”.

A Parigi si decise che ogni cinque anni i Governi avrebbero presentato un piano aggiornato. Da qui l’importanza di Glasgow: ciascuno dovrà comunicare a che punto è nel cammino di decarbonizzazione. Il problema è che gli impegni presi a Parigi non sono neanche lontanamente sufficienti per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi. Serve uno sforzo ben maggiore e il decennio scarso che ci porta al 2030 sarà determinante.

Nei grafici che seguono c’è una fotografia della situazione ad oggi e di come siamo arrivati fino a qui.

Variazione della temperatura terrestre
Incremento mensile, in gradi, della temperatura della superficie terrestre ed oceanica, rispetto alla temperatura media del 20esimo secolo. Fonte: NOAA

Scioglimento dei ghiacci nell'ultimo ventennio
Variazione della massa antartica rispetto al 2002, in gigatonnellate. Fonte: NASA

Il grafico sopra con lo storico delle temperature: i puntini blu indicano una temperatura inferiore alla media del secolo, quelli rossi una temperatura superiore. Dagli anni Ottanta a oggi non ci sono più stati mesi con temperature inferiori alla media e anzi la curva è diventata sempre più ripida in direzione di un aumento.

Sono i decenni in cui la Cina e gli altri grandi Paesi emergenti hanno visto le loro economie crescere a due cifre con il contemporaneo incremento di attività industriali e consumi basati sui combustibili fossili.

Il grafico che mostra lo scioglimento della massa antartica rispetto al 2002 è strettamente correlato all’aumento della temperatura, così come l’innalzamento del livello dei mari. Lo misura la Nasa da inizio anni Novanta. La crescita media è di 3,4 millimetri all’anno.

Top 10 paesi per emissioni di CO2 assolute o pro capite
Quota (%) del totale emissioni globali. Fonte: OWID

A Glasgow ci sono oltre 190 Paesi ma la partita si gioca tra un numero molto più ristretto di Stati. Ecco i principali protagonisti.

Cina

È di gran lunga il primo Paese al mondo per emissioni di gas serra. Senza un grande sforzo da parte della Cina nessuna soluzione ai problemi del pianeta è possibile. I suoi impegni saranno dunque determinanti per capire quanto la temperatura del pianeta aumenterà nei prossimi decenni.

Pechino ha previsto di raggiungere il suo picco di emissioni entro il 2030 e il saldo zero tra emissioni prodotte e assorbite (net zero) entro il 2060. Si è anche impegnata a smettere di finanziare progetti basati sul carbone all'estero e a iniziare a tagliare il proprio consumo di carbone – di cui la Cina assorbe oltre la metà del consumo mondiale – a partire dal 2026. La frenata dell'economia e la scarsità di energia nelle ultime settimane hanno però indotto il governo e le autorità locali a fare una parziale marcia indietro sugli impegni di decarbonizzazione. Un segnale preoccupante in vista di Glasgow.

Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono attualmente il secondo più grande emettitore di anidride carbonica del mondo, ma storicamente hanno emesso più C02 nell'atmosfera di qualsiasi altro Paese e restano ai vertici mondiali per emissioni pro capite. Tornano quest'anno ai colloqui sul clima delle Nazioni Unite, dopo che l'ex presidente Donald Trump aveva ritirato gli Stati Uniti dall'accordo di Parigi. Joe Biden ha aderito all'intesa e ha promesso che il Paese taglierà le sue emissioni di gas serra del 50-52% dai livelli del 2005 entro il 2030. Ma la legislazione nazionale sul clima sta incontrando ostacoli al Congresso e potrebbe indebolire la forza negoziale del governo americano.

Concentrazione di CO2 nell'atmosfera
Parti per milione (ppm) di CO2 presenti nell'atmosfera terrestre. Secondo le misurazioni effettuate all’osservatorio di Mauna Loa, Hawaii, per i dati dopo il 1958. In base alle stime derivate dal carotaggio dei ghiacci in Antartide per i dati antecedenti al 1958. Fonte: NOAA e Scripps Institution of Oceanography

Diffusione

Trend

Unione europea

Produce circa l'8% delle emissioni globali di gas serra, con una tendenza in calo da anni. L'UE ha fissato l’obiettivo di tagliare le emissioni nette di almeno il 55% entro il 2030 dai livelli del 1990, e ridurle a zero entro il 2050. I suoi paesi membri stanno negoziando un pacchetto legislativo per raggiungere questo ambizioso obiettivo.

I paesi dell'UE negoziano come un unico gruppo alla Cop26, e ci si aspetta che quest'anno spingano per introdurre regole che richiedano obiettivi climatici più stringenti ogni cinque anni da parte di tutti i paesi. L’Ue è da sempre il soggetto più attivo nei negoziati climatici, quello che preme per fare di più contro il global warming.

India

E’ il terzo emettitore di anidride carbonica al mondo dopo Cina e Usa e soprattutto è quello che negli ultimi le ha fatte crescere di più tra i grandi Paesi. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia, l’India è il Paese che nei prossimi due decenni vedrà aumentare di più la domanda di energia. Il problema dell’India è il carbone, che contribuisce per il 70% alla generazione di energia e di cui è il secondo produttore e consumatore al mondo dopo la Cina.

Russia

Come la Cina punta all’obiettivo di “net zero” entro il 2060. Il problema della Russia è che la sua economia dipende fortemente dai combustibili fossili come petrolio e gas e dunque è poco incline a un piano di decarbonizzazione. “L'agenda del clima non deve essere usata come un’arma per promuovere gli interessi economici o politici di singoli paesi”, ha avvertito il presidente Vladimir Putin, che non sarà presente a Glasgow.

Contributo cumulato dei paesi all'inquinamento globale
Quota (%) delle emissioni globali cumulative di CO2 tra il 1750 e il 2019. Fonte: OWID

Questo è il grafico che i negoziatori dei Paesi emergenti mostrano più volentieri. Indica la quota delle emissioni globali cumulative di CO₂ tra il 1750 e il 2019, insomma dice chi ha inquinato di più nell’era industriale: Stati Uniti ed Europa. Perché chiedete più sforzi a noi – è l’argomento di Cina, India e gli altri emergenti – quando siete voi i grandi responsabili dell’effetto serra? L’argomento è inattaccabile, ma i Paesi industrializzati replicano che oggi il quadro si è ribaltato, che le loro emissioni sono ferme o in calo da anni e che dunque il massimo sforzo deve venire dai nuovi grandi inquinatori. Chi ha ragione?

Emissioni di gas serra per settore produttivo
Quota (%) del totale emissioni globali. Fonte: OWID

Industria, agricoltura, trasporti, edilizia, rifiuti. Ogni settore dell’economia mondiale contribuisce in maniera più o meno rilevante alle oltre 36 miliardi di tonnellate di emissioni annuali di anidride carbonica. Tutto però nasce dai combustibili fossili: bruciare sempre più carbone, petrolio e gas per alimentare le nostre industrie, le nostre case e i nostri mezzi di trasporto è all’origine dell’aumento esponenziale dei gas serra riversati nell’atmosfera. Non c’è dunque altra strada se non quella di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili puntando su fonti energetiche a zero emissioni.

Consumo di carbone per regione del mondo
Consumo di carbone in TWh. Fonte: BP

Il ruolo del carbone come fonte energetica a livello mondiale, come si vede dal grafico sopra, nel 2020 ha mostrato una lieve contrazione ma con ogni probabilità il calo è dovuto alla contrazione dei consumi come effetto della pandemia. Secondo le stime Iea, la capacità installata di rinnovabili nel mondo supererà il carbone nel 2025.

Se si selezionano i diversi paesi si notano però delle tendenze molto diverse. Una è acclarata: l’Unione europea ha raggiunto il suo picco di consumi di questa fonte nel 2003. Oggi il valore in TWh è di meno della metà, da 3.414 a 1642 (-52%). Percorso simile negli Stati Uniti, con il picco registrato nel 2005. In quell’anno i consumi di carbone furono di 6.347 KWh contro i 2.556 KWh nel 2020 ovvero un calo di quasi il 60%.

Lo stesso non si può dire della Cina, che ha visto crescere i consumi, seppure non di molto, anche nel 2020. India e “altri paesi” hanno subito un lieve calo dovuto alla pandemia.

Energy mix dei paesi G20
Quota (%) di consumo di energia primaria per fonte. Fonte: BP Statistical Review of World Energy 2021

Il grafico qui sopra mostra il mix energetico nei paesi del G20 secondo il BP Statistical Review of World Energy 2021. È interessante selezionare le diverse fonti e vedere come sono posizionati i diversi paesi. Se si sceglie il petrolio (deselezionando le altre fonti dal menu) si osserva come l’Arabia Saudita abbia la maggior quota di percentuale rispetto al totale consumo di energia primaria: 62%, seguita da Corea del Sud al 42% e Giappone, Brasile e Messico al 38%.

Nel gas naturale svetta la Russia (52%) seguita da Argentina (50%) e Messico (48%). Il carbone è la fonte più utilizzata dal Sud Africa (71%), Cina (57%) e India (55%). Nucleare: Francia al 36%, assoluto leader seguito dalla lontana Corea del Sud al 12% e Stati Uniti all’8%.

L’idroelettrico è il preferito dal Brasile (29%), Canada (25%) e Turchia (11%). Nelle altre rinnovabili in testa c’è la Germania, con il 18%, e a seguire Regno Unito e Brasile al 17%.

Grafici realizzati in Flourish Flourish, AmchartsAmcharts
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Coordinamento: Luca Salvioli
Design director: Laura Cattaneo
Testi: Gabriele Meoni e Luca Salvioli
Illustrazioni: Giorgio De Marinis
Data visualization: Federico Barbara, Alice Calvi, Luca Galimberti, Renato Nonno
Sviluppo: Marina Caporlingua, Renato Zitti Pozzi