Greta contro Gates: due ricette opposte contro il climate change
Un obiettivo comune, due strade diverse: fiducia illimitata nella capacità delle imprese di sviluppare nuove tecnologie a zero emissioni contro il paradigma più dirompente, ovvero cambiare i paradigmi dello sviluppo
Un obiettivo comune, due strade diverse: fiducia illimitata nella capacità delle imprese di sviluppare nuove tecnologie a zero emissioni contro il paradigma più dirompente, ovvero cambiare i paradigmi dello sviluppo
«Siete molto più saggi delle generazioni precedenti e questo è particolarmente vero quando si parla di azioni per il clima. Molti di voi scelgono cibo biologico locale, si muovono in bicicletta o con i mezzi pubblici, chiedono più verde nelle città». Detto da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, è davvero un complimento degno di essere registrato. I destinatari sono una delle categorie più abusate dalle analisi sociologiche e dai sondaggisti: quella dei giovani.
Già, perché dietro questa parola in realtà si nasconde un universo che più variegato non potrebbe essere, per età, inclinazioni e interessi.
Una voce sola sul clima
Eppure, in tema di crisi climatica sembra che la «categoria» parli davvero con una voce sola. Sarà l’effetto Greta, la naturale inclinazione delle nuove generazioni a sognare un mondo migliore o, più prosaicamente, il fatto che «non esiste un pianeta B», come recita uno degli slogan più fortunati dei Fridays for Future e che su questo unico pianeta i giovani ci devono vivere per i prossimi decenni.
Il climate change preoccupa più del Covid
Un sondaggio condotto da Ipsos per l’iniziativa #ClimateOfChange in 23 Paesi Europei conferma che i giovani considerano il cambiamento climatico e il degrado ambientale come priorità assolute.
Quasi la metà degli intervistati lo ritiene il problema più grave del mondo, anche più della pandemia di Covid-19. La pattuglia dei negazionisti del climate change è invece sempre più sparuta (meno di un ragazzo europeo su dieci).
Anche i giovani italiani sono molto preoccupati per il cambiamento climatico, dato che è superiore alla media europea (54% contro 46%). E sono motivati a mettere in moto il cambiamento: 8 su 10 potrebbero votare per i politici che danno la priorità a questi temi.
L’appello ai leader
«State ignorando la crisi climatica. Per quanto pensate di farla franca senza essere ritenuti responsabili?». Così Greta Thunberg, leader del movimento, ha rimproverato i leader mondiali riuniti virtualmente lo scorso 22 aprile da Joe Biden per aver stabilito obiettivi a suo avviso «insufficienti». E non ha risparmiato neanche il Congresso americano, al quale ha rimproverato il sostegno finanziario all'industria dei combustibili fossili. «Siamo nel 2021 – ha accusato Greta Thunberg - e il fatto che siamo ancora qui a parlare dei sussidi ai combustibili fossili è una vergogna, significa che non abbiamo capito l'emergenza climatica».
«Modello Greta» vs «Modello Gates»
Il messaggio dei giovani - che verrà ribadito a Milano dal 28 al 30 settembre allo Youth4Climate Event - è che non si può pensare di combattere la crisi climatica senza modificare a fondo il modello di sviluppo capitalistico. Bisogna cambiare drasticamente rotta. In questo la «generazione Greta» si distingue nettamente dalle posizioni di autorevoli leader in prima linea nella lotta al climate change come il fondatore di Microsoft Bill Gates o l’ex governatore della Bank of England Mark Carney. «Il mercato - ha detto recentemente Carney - non è la risposta a tutto ma può giocare un ruolo importante nel risolvere molti dei più grandi problemi. Non arriveremo a zero emissioni nette senza innovazione, investimenti e profitti».
Sulla stessa linea Bill Gates, che nel suo recente libro «Clima: come evitare un disastro» illustra come si può raggiungere il traguardo di «net zero» incentivando l’innovazione e la ricerca, senza rinunciare agli stili di vita del consumatore medio, come viaggiare in aereo o rinfrescare la casa con il condizionatore d’aria.
La sfida della decarbonizzazione, scrive Gates, «è una grande opportunità economica: i Paesi che creeranno grandi società e industrie a zero emissioni saranno alla guida dell’economia globale nei prossimi decenni».
Sono due strategie unite dall’obiettivo finale, ma molto diverse sulle strada da percorrere. Il «modello Gates» si fonda su una fiducia illimitata nella capacità delle imprese e della ricerca pubblica e privata di creare nuove tecnologie a zero emissioni. Il «modello Greta» invece insiste sull’urgenza di ridurre le emissioni nocive, cambiando i paradigmi dello sviluppo e respingendo soluzioni tecnologiche considerate come scorciatoie.
Il dibattito sulla cattura dell’anidride carbonica
Un esempio su tutti: le tecniche di cattura dell’anidride carbonica, viste da Greta come un pretesto per continuare con il business as usual mentre la priorità è tagliare le emissioni fino ad azzerarle.
Chi ha ragione? «E’ vero – osserva al Sole 24 Ore Samuel Nicholson, co-fondatore dell’Institute for Carbon Removal Law & Policy all’American University di Washington – che molte imprese utilizzano le promesse di rimozione o cattura dell’anidride carbonica come una via per rinviare il taglio delle emissioni. La cosa migliore è separare i due aspetti e dichiarare in modo trasparente i propri obiettivi per entrambi».
Appuntamento a Glasgow
L’appuntamento cruciale è a novembre a Glasgow per la Cop 26, la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite organizzata in partnership tra Regno Unito e Italia (Milano ospiterà la pre-Cop dal 28 settembre al 2 ottobre). In quella sede bisognerà «mettere a terra» gli impegni dei Paesi verso il traguardo delle zero emissioni, con la grande novità del ritorno degli Stati Uniti di Joe Biden. Un’occasione unica che sarebbe un delitto sprecare.