La svolta green dipenderà da come collaboreranno finanza pubblica e privata
Una componente chiave del successo della transizione ecologica si gioca sulle regole e caratteristiche della partnership finanziaria pubblico-privata
Una componente chiave del successo della transizione ecologica si gioca sulle regole e caratteristiche della partnership finanziaria pubblico-privata
Una componente chiave del successo della transizione ecologica (e di tutti i provvedimenti a essa collegati contenuti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, o Pnrr) si gioca sulle regole e caratteristiche della partnership finanziaria pubblico-privata nel finanziamento della transizione ecologica (nel gergo anglosassone blended green finance).
La partnership può assumere varie forme. Le storiche e più tradizionali sono fondi rotativi, fondi di garanzia o agevolazioni creditizie dedicate che favoriscano erogazione di credito bancario a investimenti sostenibili (ad esempio in forme di produzione di energia rinnovabili, in introduzione nei settori industriali di impianti produttivi più efficienti dal punto di vista energetico, in nuovi prodotti di economia circolare, ecc.).
Quelle più recenti e complesse sono forme più articolate di cofinanziamento e partnership dirette pubblico-private in iniziative dove il ruolo del finanziatore pubblico è quello di ridurre il rischio della finanza privata a condizione di definire condizionalità e direzione dell’intervento. Alla fine, sia nelle vecchie che nelle nuove forme, la “transazione” tra pubblico e privato nella blended green finance è sempre quella nella quale il pubblico si assume parte del rischio, orientando in cambio le energie dei privati sul sentiero di investimenti ambientalmente e socialmente sostenibili.
Perché la blended green finance sia veramente utile e migliorativa essa deve rispondere in modo convincente a tre domande da “avvocato del diavolo”:
1) Il 1tipo di progetto finanziato dalla blended green finance non poteva essere finanziato direttamente e solamente dallo Stato?
2) O, al contrario, la stessa iniziativa non poteva essere finanziata solo dai privati?
3) La blended green finance crea addizionalità, ovvero attiva iniziative che non sarebbero state messe in campo, oppure spiazza iniziative che comunque sarebbero state realizzate dal mercato?
Sul primo punto la risposta appare in moltissimi casi scontata. Inefficienze del settore pubblico e cattura della politica sconsigliano di affidare attività produttive direttamente allo stato che è molto meglio che giochi il ruolo di attivatore delle energie dei privati e della società civile.
Sul secondo la transizione ecologica richiede che i privati non massimizzino semplicemente i profitti in qualunque direzione, ovvero senza tener conto delle potenziali ricadute negative sociali e ambientali delle loro azioni. L’ingresso della finanza pubblica può e deve contribuire a indirizzare le loro energie nella direzione voluta di sviluppo sostenibile attraverso le opportune condizionalità definite in cambio dell’offerta di forme di condivisione/riduzione del rischio.
La risposta alla terza domanda è anch’essa importante perché la partnership pubblico-privato (le risorse pubbliche sono anch’esse preziose e limitate e vanno usate solo per fare “buon” debito pubblico) deve rivolgersi a iniziative e settori che non si sarebbero attivate comunque anche senza la spinta pubblica.
La risposta più convincente alle tre domande è che la blended green finance è tanto più utile ed efficace quanto più produce “addizionalità” nella transizione energetica (ovvero spinge le imprese a fare investimenti con obiettivi di sostenibilità più sfidanti di quanto avrebbero fatto altrimenti), quanto più mobilizza capitali privati e realizza effetti dimostrativi che attraggono nuovi investimenti e finanziatori sul determinato ambito della sostenibilità e infine quanto più si fa carico di parte del rischio in settori innovativi dove i livelli correnti di rischio sono talmente elevati da scoraggiare l’investimento privato.