«La neve è il modo in cui la natura immagazzina l’acqua per spostarla da una stagione all’altra». La spiega così Luca Ferraris, presidente di Fondazione CIMA- Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale - che si occupa dello studio, la previsione e la prevenzione dei rischi legati ai cambiamenti climatici. In altre parole: la neve di oggi è l’acqua di domani.
E di neve, oggi, ce n’è molto poca. È un buon momento per fare un bilancio visto che è a marzo che storicamente in Italia si registra il massimo accumulo. «Intorno all’inizio del mese, nel nostro paese di solito contiamo su 10-13 miliardi di metri cubi d’acqua, ma quest’anno siamo a meno di 4 miliardi. Ne manca più della metà, e siamo in condizioni peggiori rispetto allo scorso anno, dove nello stesso momento ne avevamo 6 miliardi» continua Ferraris.
«Rileviamo un deficit totale del -63%, a causa delle temperature molto miti che abbiamo registrato nella seconda metà di febbraio – precisa Francesco Avanzi, ricercatore CIMA e idrologo specializzato in neve -. Ciò significa che, ad oggi, abbiamo circa un terzo della neve degli ultimi anni, con una grave mancanza non solo sulle Alpi italiane, che presentano un deficit sistemico su tutto l'arco, ma anche sugli Appennini, che tornano a registrare un innevamento minore della media dopo gennaio. Stessa sorte per i bacini del Po e dell’Adige, che presentano un deficit del -66% e -73%, anche maggiore rispetto al quadro nazionale».
Il 2023 è sulla buona strada per essere una replica del 2022, in termini di siccità, se non peggio. E il problema è particolarmente drammatico nelle Alpi, che sono il vero serbatoio di acqua nazionale. «È a repentaglio il meccanismo che garantisce le maggiori risorse idriche in Italia – continua Avanzi -. Anche perché la neve ha il vantaggio, rispetto alle piogge, di fondere un po’ alla volta penetrando meglio nei terreni e arricchendo le falde».
La situazione all’8 marzo la vedete nelle mappe qui sotto. La prima rappresenta l’equivalente idrico nivale a livello provinciale, che è una misura del volume d’acqua accumulato nella neve ad oggi. La seconda rappresenta invece l’anomalia, ovvero una percentuale che indica la situazione rispetto alla media degli ultimi 10 anni. Come evidente, nel 2023 solo in 5 province del centro Italia è caduta più neve rispetto alle medie. Per tutte le altre il bilancio è negativo.
Sembrava che potesse esserci un recupero a fine febbraio, ma poi le precipitazioni, che inizialmente sembravano abbondanti, si sono molto ridimensionate. «Sul finire di febbraio ha fatto un’ottima nevicata, ma confinata localmente. In particolare nella provincia di Cuneo. E più in generale nel torinese e Liguria. Poi però ha fatto caldo e buona parte della neve si è fusa in fretta».
In questo grafico si possono selezionare le province per vedere la serie storica degli accumuli di neve dal 2011 a oggi.
Il trend calante, accelerato negli ultimi due anni, è evidente già con una serie storica di pochi anni. Per valutarla a livello nazionale, trovate tutti i grafici in fondo all’articolo. Dove si vede chiaramente che gli ultimi due anni sono stati i peggiori, ben sotto la media, e che a incidere sono soprattutto le regioni settentrionali.
Alcuni ricercatori italiani sono però andati molto più indietro. Fino a seicento anni fa. Scoprendo quanto negli anni la durata della neve si stia riducendo. Mentre per trovare le temperature necessarie bisogna salire sempre più in alto.
Rispetto alle precedenti Olimpiadi che si sono tenute a Cortina d’Ampezzo nel 1956, durante i prossimi Giochi invernali del 2026 è come se gli impianti sciistici della città si trovassero 300 metri più in basso. Con tutte le conseguenze che questo comporta per la neve sulle piste
Michele Brunetti - Ricercatore
È come se le Alpi si fossero abbassate. Secondo Michele Brunetti, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna che ha condotto lo studio sulla durata del manto nevoso, pubblicato sulla rivista Nature Climate Change «a 2.000 metri la durata della neve oggi è come quella che si registrava qualche decennio fa a 1.700 metri».
La ricerca, coordinata dal professor Marco Carrer del dipartimento Territorio e Sistemi AgroForestali dell’università di Padova, mette in luce come non ci sia mai stata così poca neve sull’Arco alpino negli ultimi seicento anni: nell’ultimo secolo la persistenza della neve si è ridotta di oltre un mese, arrivando a segnare il record negativo dai tempi di Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci.
Anche a guardare le piogge le notizie non sono buone. I dati dei grafici qui sotto sono dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna. L’Italia arriva alla primavera con un deficit di piogge cumulate del 21% in meno rispetto alle medie del trentennio 1991-2020. Un dato che al Nord tocca il 35%, al Sud si ferma al 13 per cento, come scritto da Michela Finizio e Alexis Paparo sul Sole 24 Ore.
Il 2022 e il 2023 sono stati anni particolarmente caldi e secchi. Il che si traduce in quasi il 50% in più di fabbisogno idrico per l'irrigazione. Le nostre montagne forniscono meno acqua dalla neve proprio quando ne avremmo bisogno di più del solito.
L’impatto principale è per l’agricoltura e per le centrali idroelettriche, che sono in grossa difficoltà. Uno scenario che richiede interventi di razionalizzazione e gestione delle acque, da un lato, e programmazione dall’altro.
«Siamo abituati ad avere l’acqua dalle nevi soprattutto ad aprile, maggio e giugno – sottolinea Francesco Avanzi -. Ora arriva in anticipo. L’agricoltura è organizzata su questa cadenza, che ora però è in discussione».
In particolare «il bacino del Po ospita il 50% delle risorse idriche nivali italiane, fornendo acqua dolce a diversi settori economici nonché agli ecosistemi. Purtroppo, il deficit è maggiore rispetto al quadro nazionale: -66%. La situazione è molto simile a quella del 2022, un anno già secco e caldo – conclude Avanzi - se confrontiamo la neve del 2023 con quella del 2022, vediamo che le Alpi a sud-ovest hanno recentemente goduto di un manto nevoso più consistente, ma il resto delle Alpi ha tendenzialmente meno neve del solito, soprattutto a basse quote. Si tratta di un deficit sistemico su tutto l'arco alpino».