In cerca di neve

Marzo è il mese di picco per gli accumuli nevosi, ma il 2023 segna -63% rispetto alle medie. Le Alpi, il più grande serbatoio di acqua che abbiamo, sono in crisi
Marzo è il mese di picco per gli accumuli nevosi, ma il 2023 segna -63% rispetto alle medie. Le Alpi, il più grande serbatoio di acqua che abbiamo, sono in crisi
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▲ Due immagini satellitari a confronto (2021 - 2023) dell’area di Verbano Cusio Ossola (Copernicus SENTINEL-2, Esa)
di Luca Salvioli
10 marzo 2023

«La neve è il modo in cui la natura immagazzina l’acqua per spostarla da una stagione all’altra». La spiega così Luca Ferraris, presidente di Fondazione CIMA- Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale - che si occupa dello studio, la previsione e la prevenzione dei rischi legati ai cambiamenti climatici. In altre parole: la neve di oggi è l’acqua di domani.

E di neve, oggi, ce n’è molto poca. È un buon momento per fare un bilancio visto che è a marzo che storicamente in Italia si registra il massimo accumulo. «Intorno all’inizio del mese, nel nostro paese di solito contiamo su 10-13 miliardi di metri cubi d’acqua, ma quest’anno siamo a meno di 4 miliardi. Ne manca più della metà, e siamo in condizioni peggiori rispetto allo scorso anno, dove nello stesso momento ne avevamo 6 miliardi» continua Ferraris.

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▲ Stazione meteo automatica al colle major al Monte Bianco (4750 m)

«Rileviamo un deficit totale del -63%, a causa delle temperature molto miti che abbiamo registrato nella seconda metà di febbraio – precisa Francesco Avanzi, ricercatore CIMA e idrologo specializzato in neve -. Ciò significa che, ad oggi, abbiamo circa un terzo della neve degli ultimi anni, con una grave mancanza non solo sulle Alpi italiane, che presentano un deficit sistemico su tutto l'arco, ma anche sugli Appennini, che tornano a registrare un innevamento minore della media dopo gennaio. Stessa sorte per i bacini del Po e dell’Adige, che presentano un deficit del -66% e -73%, anche maggiore rispetto al quadro nazionale».

Il 2023 è sulla buona strada per essere una replica del 2022, in termini di siccità, se non peggio. E il problema è particolarmente drammatico nelle Alpi, che sono il vero serbatoio di acqua nazionale. «È a repentaglio il meccanismo che garantisce le maggiori risorse idriche in Italia – continua Avanzi -. Anche perché la neve ha il vantaggio, rispetto alle piogge, di fondere un po’ alla volta penetrando meglio nei terreni e arricchendo le falde».

La situazione all’8 marzo la vedete nelle mappe qui sotto. La prima rappresenta l’equivalente idrico nivale a livello provinciale, che è una misura del volume d’acqua accumulato nella neve ad oggi. La seconda rappresenta invece l’anomalia, ovvero una percentuale che indica la situazione rispetto alla media degli ultimi 10 anni. Come evidente, nel 2023 solo in 5 province del centro Italia è caduta più neve rispetto alle medie. Per tutte le altre il bilancio è negativo.

Accumulo di neve per provincia
Dati all’8 marzo 2023. Nel menu è possibile selezionare le anomalie rispetto alla media 2011-2021
Equivalente idrico
Anomalie
Accumulo di neve per provincia
Equivalente idrico nivale, ovvero una misura del volume d’acqua accumulato, all’ 8 marzo 2023
Differenza rispetto alla media 2011 - 2021
Anomalia di equivalente idrico nivale medio provinciale all’ 8 marzo. Se è negativa vuol dire che c'è al momento meno neve rispetto agli ultimi anni
Fonte: Fondazione CIMA- Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale

Sembrava che potesse esserci un recupero a fine febbraio, ma poi le precipitazioni, che inizialmente sembravano abbondanti, si sono molto ridimensionate. «Sul finire di febbraio ha fatto un’ottima nevicata, ma confinata localmente. In particolare nella provincia di Cuneo. E più in generale nel torinese e Liguria. Poi però ha fatto caldo e buona parte della neve si è fusa in fretta».

In questo grafico si possono selezionare le province per vedere la serie storica degli accumuli di neve dal 2011 a oggi.

Neve per provincia, la serie storica
L'equivalente idrico nivale dal 2011 al 2022. Dati in millimetri di accumulo
Fonte: Fondazione CIMA- Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale

Il trend calante, accelerato negli ultimi due anni, è evidente già con una serie storica di pochi anni. Per valutarla a livello nazionale, trovate tutti i grafici in fondo all’articolo. Dove si vede chiaramente che gli ultimi due anni sono stati i peggiori, ben sotto la media, e che a incidere sono soprattutto le regioni settentrionali.

Alcuni ricercatori italiani sono però andati molto più indietro. Fino a seicento anni fa. Scoprendo quanto negli anni la durata della neve si stia riducendo. Mentre per trovare le temperature necessarie bisogna salire sempre più in alto.

Rispetto alle precedenti Olimpiadi che si sono tenute a Cortina d’Ampezzo nel 1956, durante i prossimi Giochi invernali del 2026 è come se gli impianti sciistici della città si trovassero 300 metri più in basso. Con tutte le conseguenze che questo comporta per la neve sulle piste

Michele Brunetti - Ricercatore

È come se le Alpi si fossero abbassate. Secondo Michele Brunetti, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna che ha condotto lo studio sulla durata del manto nevoso, pubblicato sulla rivista Nature Climate Change «a 2.000 metri la durata della neve oggi è come quella che si registrava qualche decennio fa a 1.700 metri».

Alpi, variazione rispetto a 10 anni fa

Valtellina (2021-2023)
▲ Immagini satellitari (Copernicus SENTINEL-2, Esa)
Alto Adige (2021-2023)
▲ Immagini satellitari (Copernicus SENTINEL-2, Esa)
Area di Cuneo (2021-2023)
▲ Immagini satellitari (Copernicus SENTINEL-2, Esa)
Verbano Cusio Ossola (2021-2023)
▲ Immagini satellitari (Copernicus SENTINEL-2, Esa)

La ricerca, coordinata dal professor Marco Carrer del dipartimento Territorio e Sistemi AgroForestali dell’università di Padova, mette in luce come non ci sia mai stata così poca neve sull’Arco alpino negli ultimi seicento anni: nell’ultimo secolo la persistenza della neve si è ridotta di oltre un mese, arrivando a segnare il record negativo dai tempi di Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci.

«Mai così poca neve negli ultimi 600 anni»
Va messa la foto Intervista a Michele Brunetti, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna, che ha condotto lo studio sulla durata del manto nevoso, pubblicato sulla rivista Nature Climate Change.

di Michela Finizio
Come siete riusciti a ricostruire la durata della neve? Lo studio si è svolto in 5-6 siti su tutto l’arco alpino, a nord di Sondrio, raccogliendo le informazioni sullo spessore di accrescimento degli anelli presenti nel fusto dei ginepri, gli arbusti più diffusi a quelle altezze. I campionamenti sono duranti cinque anni. Abbiamo raccolto un migliaio di campioni di cui 572 sono risultati utili per le analisi. Essendo piante molto longeve, alcuni campioni sono stati rilevati su arbusti in vita da oltre 400 anni. Altri campioni, presi da arbusti morti, ci hanno permesso di andare ancora più indietro nel tempo, raccogliendo informazioni attendibili dal 1400 in poi. I ginepri, in quota, sono arbusti striscianti che non si elevano da terra e, finché non fonde la neve, la loro stagione vegetativa non parte. Pertanto, più stretto risulta l’anello dell’arbusto, minore sarà stato il suo tempo di crescita a causa delle nevi. E quindi più lunga sarà stata la durata del manto nevoso quell’anno
Perché professore è necessario risalire così indietro nel tempo? Perché è utile sapere quanto durava il manto nevoso centinaia di anni fa? Per capire quanto inusuale è quello che sta succedendo oggi. Così come per le calotte polari in Antartide, l’obiettivo di questi studi è capire come funziona il “sistema clima” e quali sono tutte le forzanti che ne regolano le sue variazioni. Grazie a questo studio oggi possiamo dire che negli ultimi Seicento anni la durata della copertura nevosa non è mai stata così breve.
Quanto dura oggi il manto nevoso sulle nostre Alpi? Rispetto alla media di lungo periodo, pari a circa 250 giorni di durata delle coperture nevose, nell’ultimo decennio sulle Alpi tale durata è scesa di almeno 30 giorni. Cioè a circa 215 giorni in tutto. Questo parametro nel corso dei secoli ha una forte variabilità interannuale, ma fino a inizio Novecento l’andamento di lungo periodo era rimasto pressoché costante. Solo negli ultimi due decenni si rileva un trend di forte decrescita, con una flessione significativa della durata del manto nevoso.
Perché analizzare la copertura nevosa è importante per il clima? La neve contiene sia informazioni sulla temperatura sia sulle precipitazioni. È un segnale misto di questi due parametri. Se la primavera è sempre più calda e le precipitazioni sono meno intense in un determinato anno, avremo meno neve solida. La finestra di precipitazioni nevose, insomma, si riduce. E con temperature ridotte sotto lo zero, la fusione del manto nevoso comincerà prima. Al netto della variabilità delle precipitazioni, su cui non abbiamo un trend costante negli ultimi decenni, possiamo dire che abbiamo negli ultimi 50 anni abbiamo assistito a un aumento delle temperature di circa 1,7-1,8° C. A cui si aggiunge il fatto che gli ultimi anni sono stati anche particolarmente siccitosi – in particolare il 2022 è stato il più caldo e il più siccitoso dal 1800 ad oggi – e la durata della neve sulle Alpi si è ridotta al minimo.
Cosa succederà in futuro? Ormai abbiamo capito che le nostre attività antropiche – legate alla produzione di emissioni - sono una forzante di quello che può succedere. Questo vuol dire che andiamo incontro a diversi scenari possibili, in base a come ci comporteremo. Uno studio di un collega dell’università di Trento, Michael Matiu, consente di elaborare alcune previsioni anche sul futuro della neve. La sua previsione è che assisteremo a una riduzione della durata del manto nevoso che, a seconda degli scenari più o meno positivi, va da un minimo del -10/12% ad un massimo del -33/34% entro il 2100. Che, tradotto in giorni, può significare una riduzione dell’ordine tra i 25 e i 75 giorni di copertura.
Perché la neve è importante per il nostro sistema? La neve è fondamentale dal punto di vista climatico. Ha la caratteristica di riflettere le radiazioni solari. Più neve c’è, insomma, meno radiazioni vengono assorbite dal sistema terrestre e quindi non entrano a budget nel bilancio energetico. Se aumenta invece la quantità di radiazioni solari che vengono assorbite dal sistema, questo provoca un ulteriore aumento delle temperature. È un ciclo che si autoalimenta, insomma. Sulle nostre Alpi, in pratica, accade quello che sta succedendo sull’Artico. Meno neve riflettente determina più radiazioni solari assorbite e, di conseguenza, una fusione più rapida dei ghiacciai a causa di un maggiore riscaldamento di queste regioni.
Poi? Ci sono conseguenze idrologiche. La neve diventa un serbatoio di acque nelle stagioni che seguono l’inverno. La scarsità di precipitazioni nevosi andrà a intaccare queste scorte prima, e così diventa più facile trovarsi verso la fine dell’estate con le scorte esaurite. Il serbatoio delle nevi alimenta i fiumi, i corsi d’acqua e i bacini durante la stagione estiva. Se la durata del manto nevoso si riduce, si riduce sempre di più anche l’apporto della neve. E resteremo scoperti durante il periodo estivo, quando già solitamente piove meno. La neve determina anche una maggiore disponibilità idrica per la produzione di energia idroelettrica, prodotta nei bacini sulle Alpi. E poi c’è l’aspetto paesaggistico ed economico: molti di questi territori vivono sull’economia delle nevi. Presto bisognerà capire se ne vale la pena utilizzare tanta energia per produrre la neve artificiale dove ci sono gli impianti sciistici.

Anche a guardare le piogge le notizie non sono buone. I dati dei grafici qui sotto sono dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna. L’Italia arriva alla primavera con un deficit di piogge cumulate del 21% in meno rispetto alle medie del trentennio 1991-2020. Un dato che al Nord tocca il 35%, al Sud si ferma al 13 per cento, come scritto da Michela Finizio e Alexis Paparo sul Sole 24 Ore.

Il calo delle precipitazioni
Pioggia cumulata durante l’anno idrologico che va da ottobre dell’anno precedente a settembre dell’anno corrente. Indice mese per mese da 0 a 100 e deficit % rispetto alla media del trentennio 1991-2020
ITALIA
NORD
SUD
Fonte: Isac-Cnr

Il 2022 e il 2023 sono stati anni particolarmente caldi e secchi. Il che si traduce in quasi il 50% in più di fabbisogno idrico per l'irrigazione. Le nostre montagne forniscono meno acqua dalla neve proprio quando ne avremmo bisogno di più del solito.

L’impatto principale è per l’agricoltura e per le centrali idroelettriche, che sono in grossa difficoltà. Uno scenario che richiede interventi di razionalizzazione e gestione delle acque, da un lato, e programmazione dall’altro.

«Siamo abituati ad avere l’acqua dalle nevi soprattutto ad aprile, maggio e giugno – sottolinea Francesco Avanzi -. Ora arriva in anticipo. L’agricoltura è organizzata su questa cadenza, che ora però è in discussione».

In particolare «il bacino del Po ospita il 50% delle risorse idriche nivali italiane, fornendo acqua dolce a diversi settori economici nonché agli ecosistemi. Purtroppo, il deficit è maggiore rispetto al quadro nazionale: -66%. La situazione è molto simile a quella del 2022, un anno già secco e caldo – conclude Avanzi - se confrontiamo la neve del 2023 con quella del 2022, vediamo che le Alpi a sud-ovest hanno recentemente goduto di un manto nevoso più consistente, ma il resto delle Alpi ha tendenzialmente meno neve del solito, soprattutto a basse quote. Si tratta di un deficit sistemico su tutto l'arco alpino».

Neve nelle regioni italiane, serie storiche
L’accumulo nevoso nel 2023 e 2022 a confronto con la media 2011-2021
Italia
Alpi
Trentino
Piemonte
Lombardia
Valle d'Aosta
Veneto
Friuli
Emilia-Romagna
Liguria
Italia
Alpi
Trentino
Piemonte
Lombardia
Valle d'Aosta
Veneto
Friuli
Emilia-Romagna
Liguria
Fonte: Fondazione CIMA- Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale
Fonti:
I dati sulla neve sono stato forniti al Sole 24 Ore da CIMA Foundation. Per aggiornamenti: https://www.cimafoundation.org/news/
Coordinamento: Luca Salvioli
Design director: Laura Cattaneo
Design: Alice Calvi, Luca Galimberti
Sviluppo: Marina Caporlingua, Renato Zitti Pozzi
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