Aria d’auto

Quanto il parco circolante incide sulla qualità di ciò che respiriamo. Le elettriche sono troppo poche e le quattro ruote sempre più vecchie
di Edoardo Poeta e Greta Conca

In Italia sei automobili su dieci hanno otto o più anni. Ed è questa circostanza — assieme alla concentrazione di veicoli nelle singole province — a coincidere con una maggior presenza di inquinanti nell’aria. Numeri che influiscono sulla salubrità di ciò che respiriamo ben più della diffusione dei veicoli a emissioni zero. Se non altro perché le elettriche sono davvero poche rispetto al totale del parco auto.

Per punti

L’età media di un’auto italiana, secondo l’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea), è di 12 anni e otto mesi: appena al di sopra della media europea di 12 e mezzo. Nella Ue, per fare un confronto con gli stati confinanti, la peggiore è la Grecia — con una media di 17 anni e mezzo — e la migliore è l’Austria, con nove anni e quattro mesi (Acea 2025).

Le prime e le ultime 10 province per anzianità del parco auto

A Barletta-Andria-Trani otto su dieci hanno 8 o più anni di età. Monopolio toscano del podio delle più nuove con prima Prato, seconda Firenze e terza Pisa. Tra le metropoli bene Milano
Fonte: Istat

Fanalino di coda della Penisola per presenza di autovetture che hanno superato gli otto anni di età è la provincia di Barletta-Andria-Trani con l’80,4%. Maglia nera tra le aree metropolitane è Napoli, con il 77,7%, mentre se si guarda il Paese per macroaree la peggior situazione si registra nelle Isole con oltre sette auto su dieci (75,5%) più vecchie di otto anni.

Sono invece tre province toscane a occupare i tre gradini più alti del podio dei territori con meno auto datate: prima Prato (53,3%), seconda Firenze (56%) e terza Pisa (56,5%). È infine Milano la città metropolitana con il parco auto meno vecchio dopo il capoluogo toscano: solo il 55,6% delle vetture ha superato gli otto anni di età.

Più auto vecchie, più potenziale inquinante

Al grado di anzianità delle vetture immatricolate corrisponde un maggiore o minore potenziale inquinante? La domanda è legittima e la risposta arriva dall’Istat. Se prendiamo le vetture ad alto potenziale di emissioni (quelle da euro 0 a 3) e quelle a medio (a benzina o gasolio da euro 4 a euro 6) e le confrontiamo — come ha fatto l’Istat — con quelle a basso (elettriche, ibride, a metano, gpl e bi-fuel di classe euro 4,5 e 6), ne esce una mappa che può essere agevolmente sovrapposta a quella della vecchiaia del parco auto in ciascuna provincia.

Che le auto più vecchie siano le più inquinanti è poi confermato in maniera evidente dalla coincidenza di queste due caratteristiche registrata tra i veicoli in provincia di Reggio Calabria, Crotone, Vibo Valentia, Enna, Catania e Nuoro. Nelle altre quattro province incluse tra le peggiori 10 l’indice di potenziale inquinante è comunque al di sopra della media nazionale di 114,8. La provincia di Barletta-Andria-Trani — che guida la classifica in negativo — si attesta a 142,6.

Dalle auto più ossidi di azoto che polveri sottili

Va detto che secondo rilevazioni dell’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) il traffico veicolare contribuisce “solo” per il 9% alla produzione di polveri sottili (Pm10 e Pm 25), mentre contribuisce in maniera consistente, esattamente per il 37%, agli ossidi di azoto presenti nell’aria.

Discorso a parte andrebbe fatto per l’anidride carbonica, che usualmente viene presa a parametro quando si parla di scarichi delle autovetture: nel 2021 il 33% delle emissioni di Co2 è stato prodotto per la quasi totalità dai trasporti su strada. I gas serra, dei quali il biossido di carbonio fa parte, sono attribuibili alle auto sette volte su dieci (69%), ma provocano più danni al clima che non alla salute.

Il biossido d’azoto infatti — e a concentrazioni relativamente basse — colpisce le vie respiratorie, peggiora asma e bronchiti e a lungo termine incide su malattie cardiovascolari e respiratorie. Ed è con esso — e con le polveri sottili — che bisogna fare i conti quando parliamo di auto e dell’aria che respiriamo.

A proposito di questo inquinante e alla sua presenza sui singoli territori, se si guarda la concentrazione media annua in microgrammi per metro cubo di biossido d’azoto (No2) Napoli sembra dimostrare in maniera quasi lapalissiana il teorema che ad auto più vecchie (77,7%) corrisponde un maggior potenziale inquinante (143,1 su 100) e una superiore presenza di biossido d’azoto: 31,75 µg/m³.

I valori provincia per provincia

C’è però da dire che la stessa concentrazione di No2 di Napoli si registra nel territorio della città metropolitana di Milano: 31,24 µg/m³. Con la sostanziale differenza che nella provincia del capoluogo lombardo il parco auto è per quasi la metà costituito da auto con meno di otto anni. Inutile dire, in aggiunta, che il potenziale inquinante corrisponde qui a una posizione di equilibrio tra le auto ad alte e medie emissioni e le vetture a basse emissioni.

Ciò nonostante a Milano le cose vanno male per la presenza di ossidi di azoto. Perché? La spiegazione del fenomeno viene dal fatto che, secondo gli scienziati, la Pianura padana presenta livelli di inquinamento atmosferico più elevati rispetto ad altre regioni italiane a causa di una particolare combinazione di fattori climatici e geografici.

Una veduta di Milano

Le emissioni da più fonti non solo sono eccessive, ma restano intrappolate senza che l’aria possa circolare. Un fenomeno ben visibile attraverso le immagini satellitari, che tra l’altro — nel raffrontare la "normalità" del 2019 con lo stop da lockdown del successivo — rendono percepibile anche quanto l’attività umana contribuisca all’incremento del biossido di azoto.

Inoltre la Lombardia, come l’Emilia-Romagna, ospita un’elevata concentrazione di allevamenti zootecnici, con Cremona che detiene il primato nazionale per numero di bovini in rapporto alla popolazione. I mezzi agricoli, prevalentemente alimentati a gasolio, emettono significative quantità di ossidi di azoto (Nox) e dell’uso intensivo durante i periodi di lavoro.

Se crescono le auto al km2, cresce il No2

Il contributo delle auto alla presenza di biossido di azoto nell’aria sembra inoltre non essere “determinante” anche se si conta il numero di auto ogni mille abitanti. Le province con minor concentrazione di mezzi a quattro ruote — nell’ordine Genova, Milano e Trieste — hanno indici di No2 non troppo differenti dalle prime tre — Isernia, Catania e Frosinone — nelle quali risulta immatricolata un’auto ogni otto persone su 10, minorenni inclusi.

Elaborazione su dati: Istat, Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente

Una differenza significativa si registra invece quando si prende in considerazione la densità di autoveicoli rispetto all’estensione del territorio. Le province di Napoli, Milano, Monza e Brianza sono quelle in cui si conta una presenza di oltre mille auto per chilometro quadrato. Ma sono anche quelle in cui a incidere sulle concentrazioni di inquinanti — se non sono la vecchiaia o il potenziale inquinante del parco auto a concorrere — sono particolari fattori produttivi, ambientali e geografici.

Un aspetto curioso riguarda infine Prato, la prima provincia italiana per “gioventù” del parco auto. È settima nella Penisola per auto per chilometro quadrato e registra valori di azoto di 20,5 µg/m³, ben al di sopra del valore mediano di 16 µg/m³ di presenza di No2 tra le province italiane.

Dunque si può dire, senza poter provare nessi di causalità, che pure se le auto sono più nuove, quando ce ne sono troppe la situazione del No2 peggiora.

In compenso, se si passa a esaminare le polveri sottili, ecco che la "solita" Prato torna tra le virtuose con 14 giorni di superamento dei limiti di Pm10 registrati dalle centraline — un valore condizionato di norma da altri fattori (per il 44% dai consumi energetici) — ponendosi molto al di sotto degli oltre 27 giorni di media registrati dalle altre città italiane.

L’irrilevanza (fino a oggi) delle auto elettriche

Se allora si tolgono gli scappamenti alle auto, se in altre parole si guidano più vetture a emissioni zero, la situazione dell’aria migliora? La risposta non è facile e porta di nuovo a fare i conti con la concentrazione di vetture per chilometro quadrato.

Bolzano, ad esempio, è in testa alla classifica nazionale per rapporto auto elettriche (Bev) e totale di vetture immatricolate: 13 ogni mille. Seguono Trento, con 10,4, e Aosta, poco al di sotto di quota 10 con 9,5.

I valori di inquinamento in queste province per media di biossido di azoto e di giorni di superamento dei limiti di Pm10 portano a dire che alla presenza di più auto elettriche corrisponde un’aria buona.

Stiamo però parlando di tre zone montane, che di per sé godono di condizioni ambientali più favorevoli. C’è poi un altro aspetto: sono i territori nei quali non solo ci sono più Bev rispetto alle vetture immatricolate, ma anche quelli in cui le auto di ogni di tipo di alimentazione hanno bassissime concentrazioni. Ce ne sono 66 ogni chilometro quadrato a Bolzano, 86 ad Aosta e 134 a Trento.

Se guardiamo i grafici con le altre sette province “a maggior concentrazione” di auto elettriche possiamo individuare valori di No2 in una fascia che va dai 18,86 µg/m³ di Lecco ai 23,89 µg/m³ di Bergamo, quasi a individuare un raggruppamento di tendenza.

Fanno eccezione, al solito, Milano e Monza e Brianza, che — oltre all’inquinamento della Pianura padana — scontano altri due record negativi: avere rispettivamente 1173 e 1438 auto per chilometro quadrato.

Le restanti province della top ten della mobilità elettrica italiana (Como, Varese, Lecco, Brescia e Bergamo) hanno invece una densità media di vetture di 308/km2.

Nel Meridione poche Bev, ma pure poco No2

Nelle province fanalino di coda per presenza di mezzi a emissioni zero le performance negative del biossido di azoto sono comunque basse. A Caltanisetta, la provincia meno elettrificata d’Italia, ci sono solo 2,2 auto elettriche ogni mille autoveicoli, un potenziale inquinante da top ten nazionale (147,1) e il valore medio di No2 è solo di 12,75 µg/m³. Concentrazione di auto per chilometro quadrato? 80.

A Trapani, dove le auto non endotermiche sono il 2,9 per mille e la densità di vetture si attesta a 122/km2, il biossido d’azoto medio è fermo a 2 µg/m³. In questo caso verrebbe da dire che stavolta qui c’è aria di mare: buona e pure “pulita”.

Se sempre in fondo alla classifica si prende infine il pacchetto di province che hanno lo stesso indice di presenza di auto elettriche rispetto al parco circolante emerge che l’inquinamento dell’aria per No2 e Pm10 non è identico.

Senza rete di ricarica, no auto a emissioni zero

Appare dunque evidente che le auto elettriche sono ancora troppo poche per poter influire sulla qualità dell’aria che respiriamo. Su scala nazionale, secondo l’Istat, esse rappresentano lo 0,5% del parco circolante (dati 2023). A livello nazionale, poi, nel 2023 l’Istituto di statistica ha contato 0,878 veicoli a combustibili fossili per abitante, in aumento rispetto all’anno precedente (0,873).

La Ue per contrastare il riscaldamento globale (e ridurre i gas inquinanti), come è noto, ha scelto di vietare la vendita di nuove auto con motori endotermici (a combustione interna, quindi benzina, diesel, GPL, metano) a partire dal 2035. Sarà ammessa una deroga per i piccoli costruttori — come Ferrari, Lamborghini e Maserati — e per i mezzi spinti a eFuel. La prospettiva dunque è quella, tra dieci anni, di un mercato del nuovo fatto di sole auto elettriche.

E nel frattempo? Nel frattempo in Italia il mercato del nuovo flette e cresce quello dell’usato. Nel 2024, secondo l’Unrae per ogni auto immatricolata ne sono state comprate due usate. L’anno ha chiuso in aumento del 7,4% rispetto al 2023 per il mercato dell’usato. La preferenza degli italiani per le vetture di seconda mano non è però una novità: se portiamo l’orologio indietro di 10 anni si registra da sempre la prevalenza delle auto di seconda mano.

Questo fenomeno — benché in corso da anni — è stato però associato a una reazione recente dei consumatori all’accordo tra Parlamento Ue e Paesi membri sul divieto di auto a combustione dal 2035. Un divieto che ha iniziato a essere prospettato a fine 2022 e che è diventato un regolamento in vigore da aprile 2023. A fronte di un domani senza motori endotermici, secondo l’interpretazione di alcuni, l’acquisto di auto nuove sarebbe stato frenato.

Quello che appare certo è l’effetto sul parco circolante di questo comportamento dei consumatori — nuovo o vecchio che sia — legato anche a fattori di mercato e di congiuntura: l’innalzamento dell’età del parco auto italiano. Prima della crisi, nel 2018 l’età media delle vetture in Italia era di 11 anni. Siamo arrivati a 12,8 anni nel 2023.

Il che su scala nazionale non sembra comportare un effetto sul potenziale inquinante complessivo, che addiritttura tende a calare (e scenderà ulteriormente visto che, per dirne una, i trasferimenti di Euro 6 secondo Unrae sono stati il 48,2% del totale).

Ma questo miglioramento non avviene in maniera uniforme. Ad attestarlo è proprio l’Istat che, su scala territoriale, ha collocato la capacità di inquinamento delle auto nel 2023 a quota 138,2 nel Mezzogiorno, contro il 103,4 del Nord e il 108 del Centro. Come dire che le sacche di auto vecchie e inquinanti mantengono la tendenza a concentrarsi in alcune zone del Paese.

L’importanza dell’effetto network

E le auto a propulsione elettrica? In un mercato dell’auto che nel 2024 — sempre secondo l’Unrae — è calato nel complesso dello 0,5% rispetto al 2023 (e a -18,7% rispetto ai livelli pre-pandemia), le immatricolazioni di Bev sono state il 4,2% nel 2024: esattamente la stessa percentuale dell’anno precedente.

Affinché dunque le auto elettriche aumentino di numero occorrono diversi fattori: condizioni di mercato, prezzi, incentivi e benefici fiscali (a questo link il quadro europeo degli aiuti, di seguito schematizzati in una tabella riassuntiva).

Paese Incentivi acquisto Esenzioni fiscali Supporto infrastruttura
Austria
Belgio
Croazia
Cipro No
Repubblica Ceca Sì (solo enti pubblici)
Danimarca No
Estonia No
Finlandia No
Francia
Germania No No
Grecia
Ungheria Sì (solo aziende)
Irlanda
Italia No No
Lituania
Lussemburgo
Malta No
Paesi Bassi No
Polonia No
Portogallo No
Spagna
Svezia
Regno Unito
Fonte: Acea (2025)

Se si passa invece sul piano territoriale, entra in gioco la disponibilità di punti di ricarica per individuare quanto spazio ha lo sviluppo della mobilità elettrica.

Mario Draghi (foto di Alexis HAULOT © European Union 2025)
Non si può forzare lo stop ai motori a combustione, dicendo a un intero settore produttivo che deve interrompere una grande linea di produzione, e allo stesso tempo non imporre, con la stessa forza, l’installazione di sistemi di ricarica, senza creare le interconnessioni per farlo. Mario Draghi Dichiarazione a margine della European Parliamentary Week 2025, Bruxelles 18 febbraio 2025

A contare, sul piano territoriale, è l’effetto network: una rete di rifornimento elettrico capillare riduce infatti l’ansia di ricarica, facilita l’adozione di veicoli elettrici (perché la disponibilità delle colonnine è visibile) e può innescare un circolo virtuoso: più infrastrutture → più veicoli → più investimenti in infrastrutture.

Capitolo a parte è quello dei sistemi di ricarica domestici, sul quale non esistono dati ufficiali e una recente indagine campionaria su 3480 su amministratori di condominio, condotta da un operatore, ha fatto emergere che l’80,9% dei condomini non dispone di alcuna infrastruttura comune per la ricarica. Nell’8,8% dei casi ce ne sono più di cinque collegate però a wallbox connessi a contatori privati.

Fonte: onData, a partire dal sito della Piattaforma unica nazionale (2025)

L’Italia dal punto di vista poi delle infrastrutture pubbliche di ricarica non è affatto tutta uguale. In Basilicata si conta un punto ogni 32 chilometri quadrati (in Lombardia ce n’è uno ogni 1,49), in Molise ogni 21, in Calabria quasi ogni 16. E l’effetto sulla diffusione delle Bev si vede: in nessuna delle tre regioni di media ci sono più di 3,3 auto elettriche ogni mille vetture.

Nella classifica generale un’anomalia è data dal Trentino Alto Adige nel quale con almeno una colonnina ogni 8 chilometri quadrati si contano 11,9 Bev ogni mille auto.

Le regioni che hanno registrato una diminuzione delle immatricolazioni nel 2024 sono Lombardia (-3,40%), Liguria (-24,66%), Piemonte (-3,28%), Trentino-Alto Adige (-16,96%), Molise (-8,33%) e Basilicata (-4,12%). La Lombardia ha la densità più alta (0,67 punti/km²), ma registra comunque un calo. Ciò indica che un’alta concentrazione di colonnine non basta a garantire una crescita continua, semmai ne costituisce un presupposto essenziale. Aspetto che appare evidente a un qualunque potenziale compratore di auto Bev che si trovi in Molise e Basilicata, dove trovare un punto di ricarica è — a dir poco — impegnativo.

Allo stesso tempo in Calabria, ultima per diffusione di auto elettriche (2,6 su mille), c’è stata una sorta di risveglio: +30,74% tra il 2023 e il 2024. Insomma sulla diffusione delle Bev possono pesare molti fattori: da quello culturale a quello di una possibile saturazione del mercato (a parità di prezzi), come nel caso del Trentino-Alto Adige. Regione nella quale sono stati registrati la più alta concentrazione di auto elettriche (11,9 su 1000) e il più significativo calo del nuovo tra 2023-2024: -16,96%.