I custodi dell’acqua

Le grandi dighe e la lotta alla siccità
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▲ Diga del Molato sul fiume Tidone, in provincia di Piacenza
di Marco Alfieri
9 aprile 2023

Lo vede quello scivolo d’acqua che entra nel lago? È la poca neve caduta questo inverno che si sta già sciogliendo…”, mi dice il guardiano della diga Edison di Venina, in alta Valtellina.

Di solito i primi scioglimenti cominciano verso metà aprile, gradualmente, e proseguono fino a luglio inoltrato, fornendo la “benzina” necessaria a ricaricare le falde, all’approvvigionamento energetico e all’agricoltura. Ma in questi giorni fa già caldo, troppo caldo. È un mezzogiorno soleggiato di fine marzo e ai 1.823 metri del lago Venina ci sono 11 gradi di temperatura.

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▲ La Diga del lago di Venina - Marzo 2023

In Val Venosta, Alto Adige, nella diga di San Valentino l’acqua del lago di Resia, famoso per il campanile a forma di matita che spunta fuori, sopravvissuto al mondo di ieri, è così bassa che si vedono i canali di collegamento tra i due vecchi laghetti uniti dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Montecatini decise di allagare tutto l’invaso per fare solo un grande bacino (il più grande lago dell’Alto Adige) e spostare l’abitato di Curon sul fianco della montagna.

▲ La Diga del lago di Venina - Marzo 2023

Anche alla diga di Larecchio, nell’alta valle Isorno sopra Domodossola, il lago artificiale è piuttosto scarico. “Capita in questi periodi di svasarlo per fare posto alla neve che si scioglie e alle piogge che di solito cadono abbondanti. Da queste parti ci chiamano la valle del pianto…”, dice con un filo di nostalgia un tecnico della società Idroelettriche Riunite (gruppo Beltrame) che lavora nella vicina centrale di Pontetto. Ma ora il bacino è desolatamente basso e così resterà “visto che di neve, e di acqua, anche a 1.853 metri di altitudine, se ne vede pochissima.

Alle sorgenti della siccità

Per capire la grave siccità che colpisce il nostro paese bisogna salire sui grandi bacini idroelettrici in Alto Adige, Piemonte e Valtellina. Girare in mezzo a fiumi, laghi e ghiacciai storicamente ricchissimi d’acqua e parlare con la gente di montagna, o con chi la conosce bene perché ci lavora da anni. Di solito hanno pensieri chiari e memoria lunga.

Lo scenario che troviamo salendo in quota ribalta qualsiasi rotazione stagionale tipica di questi mesi. Niente precipitazioni abbondanti che spesso hanno causato esondazioni, allagamenti e dissesti idrogeologici, ma un paesaggio da cartolina quasi estiva.

Sull’autostrada del Brennero, tra Affi e Avio, l’Adige nei punti in cui fa le anse è ridotto ad un fiumiciattolo. Nella conca di Bolzano se alzi lo sguardo non si vede uno straccio di neve a perdita d’occhio. Per trovarne una spruzzata bisogna arrivare in fondo alla Val Venosta, a Malles, dove un paio di persone stanno sciando su una lingua di neve artificiale in mezzo ai prati. Anche il laghetto del paese è già tutto scongelato. Qui di solito si pattina. a fino ad aprile inoltrato. Per la cronaca, ai 3.200 metri del ghiacciaio del Senales, da qualche anno non si pratica più lo sci estivo. La calotta si sta ritirando. Ormai si comincia a settembre.

Per capire la grave siccità che colpisce il nostro paese bisogna salire sui grandi bacini idroelettrici in Alto Adige, Piemonte e Valtellina. Girare in mezzo a fiumi, laghi e ghiacciai storicamente ricchissimi d’acqua e parlare con la gente di montagna, Apri l'immagine in modalità fullscreen Apri l'immagine in modalità fullscreen o con chi la conosce bene perché ci lavora da anni. Di solito hanno pensieri chiari e memoria lunga.

Lo scenario che troviamo salendo in quota ribalta qualsiasi rotazione stagionale tipica di questi mesi. Niente precipitazioni abbondanti che spesso hanno causato esondazioni, allagamenti e dissesti idrogeologici, ma un paesaggio da cartolina quasi estiva.

Sull’autostrada del Brennero, tra Affi e Avio, l’Adige nei punti in cui fa le anse è ridotto ad un fiumiciattolo. Nella conca di Bolzano se alzi lo sguardo non si vede uno straccio di neve a perdita d’occhio. Per trovarne una spruzzata bisogna arrivare in fondo alla Val Venosta, a Malles, dove un paio di persone stanno sciando su una lingua di neve artificiale in mezzo ai prati. Anche il laghetto del paese è già tutto scongelato. Qui di solito si pattina. a fino ad aprile inoltrato. Per la cronaca, ai 3.200 metri del ghiacciaio del Senales, da qualche anno non si pratica più lo sci estivo. La calotta si sta ritirando. Ormai si comincia a settembre.

Anche sulla superstrada per Merano si trovano gli alberi già in fiore. Passata la fabbrica della birra Forst, con la sua tipica architettura tirolese, si entra nel paradiso delle mele. Ci sono meleti ovunque: in mezzo alle case, nei giardini, dietro i benzinai, a bordo strada o terrazzati come fossimo in Liguria. La val Venosta a marzo sembra tutta infilzata da enormi stecchini. Una monocoltura così pervasiva si trova forse solo sulle colline del Prosecco, nel trevigiano. Ma forse nemmeno.

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▲ Lago di Resia - metà marzo 2023
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▲ Lago di Resia - estate 2019
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▲ Rio Senales
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▲ Meleti tra Bolzano e Merano

Dall’alto della grande sete

Cambiando lato dell’arco alpino, per raggiungere la diga di Larecchio sul torrente Isorno, in alto Piemonte, decidiamo di partire in elicottero da Castelnuovo di Garfagnana, per vedere quanto è grave la siccità anche sugli Appennini. Il paesaggio è terribile. La dorsale tosco-emiliana è totalmente brulla.

Sul passo del Cerreto non c’è ombra di neve. Il lago artificiale di Paduli è ridotto uno stagno. Verso Parma il fiume Taro è quasi in secca e a Bobbio, sotto il ponte storico, il Trebbia praticamente non c’è più, ridotto ad un letto di ghiaia e sabbia.

Superato il lago Maggiore e le sue isole, risalendo il Toce verso la val Formazza, troviamo i canaloni spogli di neve. C’è un po’ di bianco sopra i duemila metri, in direzione San Domenico e la Svizzera, ma è neve recente, marzolina, di quella che si scioglie presto. “In Piemonte c’è già un gran numero di Comuni che sta alimentando con le autobotti i propri acquedotti. Mai vista una cosa del genere a marzo”, dice il tecnico di Idroelettriche Riunite. Mentre siamo ancora in elicottero la radio di bordo ci avvisa che alcuni Canadair stanno volando per spegnere incendi nei dintorni, neanche fossimo in piena estate.

Cambiando lato dell’arco alpino, per raggiungere la diga di Larecchio sul torrente Isorno, in alto Piemonte, decidiamo di partire in elicottero da Castelnuovo di Garfagnana, per vedere quanto è grave la siccità anche sugli Appennini. Il paesaggio è terribile. La dorsale tosco-emiliana è totalmente brulla. Apri l'immagine in modalità fullscreen Apri l'immagine in modalità fullscreen Sul passo del Cerreto non c’è ombra di neve. Il lago artificiale di Paduli è ridotto uno stagno. Verso Parma il fiume Taro è quasi in secca e a Bobbio, sotto il ponte storico, il Trebbia praticamente non c’è più, ridotto ad un letto di ghiaia e sabbia.

Superato il lago Maggiore e le sue isole, risalendo il Toce verso la val Formazza, troviamo i canaloni spogli di neve. C’è un po’ di bianco sopra i duemila metri, in direzione San Domenico e la Svizzera, ma è neve recente, marzolina, di quella che si scioglie presto. “In Piemonte c’è già un gran numero di Comuni che sta alimentando con le autobotti i propri acquedotti. Mai vista una cosa del genere a marzo”, dice il tecnico di Idroelettriche Riunite. Mentre siamo ancora in elicottero la radio di bordo ci avvisa che alcuni Canadair stanno volando per spegnere incendi nei dintorni, neanche fossimo in piena estate.

Salendo verso Sondrio per poi raggiungere la centrale di Venina la situazione è identica. Prima di Forcola, l’Adda, unico immissario ed emissario del Lago di Como, è mezzo in secca così come il torrente Masino. Di neve, nemmeno l’ombra. È già primavera inoltrata.

L'equivalente idrico nivale alpino e del fiume Po
La linea rossa rappresenta la stagione in corso. La linea tratteggiata rappresenta la scorsa stagione, mentre la linea nera e la banda grigia rappresentano, rispettivamente, la media sul periodo storico e la variabilità interannuale
Fonte: Fondazione CIMA- Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale

Quel che vediamo sul campo è fotografato plasticamente dai numeri “macro”, dopo un 2022 già di grande siccità. Secondo i dati dell’autorevole fondazione Cima (Centro Internazionale Monitoraggio Ambientale) il deficit di neve sulle Alpi è pari a -69% rispetto alla media degli ultimi 12 anni. La cosa preoccupa perché sono queste montagne a fornire l’acqua dolce al bacino del Po, che ospita circa la metà delle risorse idriche italiane. Po che al rilevamento di Pontelagoscuro è già sceso sotto la soglia minima (450 metri cubi al secondo) in grado di contrastare, in mancanza di acqua dolce, la risalita del cuneo salino dal mare Adriatico.

Per dire: nella sola Lombardia, la quantità di risorsa idrica stoccata è attualmente inferiore del 60,2% rispetto alla media (addirittura del 6,2% rispetto all’anno scorso).

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▲ Il fiume Taro
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▲ Il fiume Taro
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▲ Il fiume Trebbia
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▲ Il fiume Trebbia
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▲ Il fiume Trebbia
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▲ Il fiume Trebbia
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▲ Il fiume Toce
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▲ Il fiume Toce
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▲ Il fiume Toce
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▲ Il fiume Po vicino a Piacenza e Pavia
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▲ Il fiume Po vicino a Piacenza e Pavia
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▲ Il fiume Po vicino a Piacenza e Pavia

La fine della neve

Negli ultimi 30 anni registriamo precipitazioni più intense e irregolari ma in valore assoluto non possiamo dire che sia caduta meno pioggia”, ragiona Mario Trogni, ceo di Alperia, la società energetica della provincia autonoma di Bolzano. “Quel che è evidente dalle statistiche, invece, è che è diminuita molto la neve e la causa è l’aumento delle temperature, come si vede anche arrivando a Bolzano.

La neve è il vero tesoro delle montagne perché protegge i ghiacciai e quando fa freddo si scioglie più lentamente, migliorando la ricarica delle falde. Pensate che “in un anno di nevosità normale – continua Trogni - non ci preoccupiamo delle piogge almeno fino ai primi di agosto. La neve di adesso, invece, si scioglie a inizio primavera quindi devi sperare che piova in estate.

Racconta Trogni che quest’anno, con l’Osservatorio dell’Autorità di bacino Alpi Orientali, si sono dovuti riunire già a febbraio. “Da inizio marzo siamo ufficialmente entrati nello stato di severità idrica media, un unicum nella storia.” Giusto per capirsi: negli anni proprio grami si arrivava a questo stadio a fine aprile. O a partire da giugno, quando aumentano i consumi. “A metà marzo non era mai successo.

Il risultato è che la fragile catena dell’acqua, dalle alpi alla pianura, messa sotto forte stress da 15 mesi di precipitazioni praticamente impalpabili, si è ormai inceppata, accumulando tensioni lungo tutta la filiera.

La fragile catena dell’acqua

Prima tensione. Cadendo poca neve, in anni caldi e siccitosi come il 2022 e il 2023, scatta un maggiore fabbisogno di acqua per l’irrigazione. Tradizionalmente gli agricoltori in val padana, a marzo, guardano i grandi laghi del nord e i livelli dell’Adda, del Ticino o dell’Adige per capire che stagione sarà, e se possono o meno seminare i loro campi. Anche quest’anno sarà una stagione molto complicata.

Ricordiamo che i grandi laghi subalpini - il Garda, il Maggiore e il Lario su tutti - sono laghi regolati. La loro regolazione consente di utilizzare le acque a valle per l’uso irriguo. Dietro i laghi subalpini ci sono i grandi bacini imbriferi. E sopra i bacini imbriferi ci sono i grandi impianti di accumulo (laghi e invasi artificiali) nati in gran parte per scopi idroelettrici”, spiega Roberto Barbieri, gran capo dell’idroelettrico di Edison.

Già l’anno scorso questi laghi sono scesi sotto i livelli minimi di invaso per contribuire ad alimentare per quanto possibile i corsi d’acqua di valle per finalità irrigue, e per il mantenimento della biodiversità. Ma se non piove mai, per quanto può funzionare questo sistema di vasi comunicanti?

Prima tensione. Cadendo poca neve, in anni caldi e siccitosi come il 2022 e il 2023, scatta un maggiore fabbisogno di acqua per l’irrigazione. Tradizionalmente gli agricoltori in val padana, a marzo, guardano i grandi laghi del nord e i livelli dell’Adda, Apri l'immagine in modalità fullscreen Apri l'immagine in modalità fullscreen del Ticino o dell’Adige per capire che stagione sarà, e se possono o meno seminare i loro campi. Anche quest’anno sarà una stagione molto complicata.

Ricordiamo che i grandi laghi subalpini - il Garda, il Maggiore e il Lario su tutti - sono laghi regolati. La loro regolazione consente di utilizzare le acque a valle per l’uso irriguo. Dietro i laghi subalpini ci sono i grandi bacini imbriferi. E sopra i bacini imbriferi ci sono i grandi impianti di accumulo (laghi e invasi artificiali) nati in gran parte per scopi idroelettrici”, spiega Roberto Barbieri, gran capo dell’idroelettrico di Edison.

Già l’anno scorso questi laghi sono scesi sotto i livelli minimi di invaso per contribuire ad alimentare per quanto possibile i corsi d’acqua di valle per finalità irrigue, e per il mantenimento della biodiversità. Ma se non piove mai, per quanto può funzionare questo sistema di vasi comunicanti?

Vale di più la falda in montagna o in pianura? Vale di più il turista in riviera o in Alto Adige? Questo è il grande dilemma che avremo davanti nei prossimi mesi”, ammonisce Trogni. Il rischio di litigare con i contadini e i grandi consorzi irrigui di valle, è di nuovo dietro l’angolo. Già l’anno scorso ci furono forti tensioni tra Trentino-Alto-Adige e Veneto.

Di solito in inverno e inizio primavera i rilasci d’acqua avvengono sostanzialmente per uso idroelettrico”, prosegue Barbieri. “L’anno scorso e quest’anno, a causa della siccità, ci è stato chiesto di accumulare acqua per aiutare l’agricoltura in difficoltà”, cosa che i grandi player dell’idroelettrico - Enel, Edison, A2A, Alperia o Dolomite Energia riunite nell’associazione di categoria confindustriale Elettricità Futura – hanno fatto e stanno facendo, indipendentemente dalle concessioni legislative. Cosa non sempre facile, peraltro. Parliamo di grandi operatori spesso quotati o con proprietà pubbliche o grandi azionisti dietro le spalle a cui rispondere.

L'impianto Alperia di Glorenza
L'impianto Alperia di Naturno (Bolzano)
Gli impianti di Edison in Valtellina

La crisi idroelettrica

E qui arriviamo alla seconda tensione della filiera, causata dalla siccità. Il calo della produzione di energia idroelettrica. Secondo i dati di Terna, l’operatore che si occupa della gestione delle reti per la trasmissione dell’energia elettrica, nei primi due mesi del 2023 la generazione di elettricità dall’acqua ha fatto segnare un drammatico – 51%, con febbraio che ha sfiorato il – 60%.

Il rischio è di chiudere un anno peggiore del 2022, quando la lunga siccità aveva ridotto la produzione in Italia del 37,7%. Se poi si considera che alcuni operatori utilizzano l’acqua anche per raffreddare gli impianti termoelettrici, con un livello dei fiumi così bassi molti di loro si vedranno costretti a fermare anche alcuni impianti a gas.

E qui arriviamo alla seconda tensione della filiera, causata dalla siccità. Il calo della produzione di energia idroelettrica. Secondo i dati di Terna, l’operatore che si occupa della gestione delle reti per la trasmissione dell’energia elettrica, Apri l'immagine in modalità fullscreen Apri l'immagine in modalità fullscreen nei primi due mesi del 2023 la generazione di elettricità dall’acqua ha fatto segnare un drammatico – 51%, con febbraio che ha sfiorato il – 60%.

Il rischio è di chiudere un anno peggiore del 2022, quando la lunga siccità aveva ridotto la produzione in Italia del 37,7%. Se poi si considera che alcuni operatori utilizzano l’acqua anche per raffreddare gli impianti termoelettrici, con un livello dei fiumi così bassi molti di loro si vedranno costretti a fermare anche alcuni impianti a gas.

La tensione, ovviamente, investe a cascata anche i piccoli e medi operatori. Nel vasto territorio di Montecrestese, paesino a nord di Domodossola, il gruppo Idroelettriche Riunite controlla e gestisce un sistema con 5 centrali che comincia ai 1.850 metri della diga di Larecchio, sul lago omonimo, e termina a 300 metri a valle con l’impianto di Pontetto, dopo un salto di quasi 1.500. In Piemonte la produzione media di Idroelettriche Riunite si aggira sui 100 milioni di Kilowatt/annuo ma “da inizio anno ne hanno prodotti appena 3”, spiega Paolo Taglioli, direttore di asso-idroelettrica, un’associazione di categoria che raccoglie 427 player di settore. “Nel 2022 il gruppo ha prodotto il 43-45% della media degli ultimi 20 anni. E quest’anno sarà pure peggio, sono quasi fermi.” Le centrali lavorano non più di 2 ore al giorno.

Questo vuol dire che il paese dovrà compensare producendo più energia da fonti fossili e indebolire il mix energetico, considerando che l’idroelettrico vale circa il 40% della produzione nazionale da rinnovabili.

Competitività industriale e tecnologica
Primi 10 Paesi per valore della filiera idroelettrica in Unione Europea. In miliardi di euro
Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati PRODCOM, 2022

Per i produttori la siccità significa non produrre energia, quindi faticare a pagare canoni e mutui”, continua Taglioli. “Nonostante questo ci sono regioni come il Piemonte che hanno aumentato i canoni di concessione delle acque del 150% in un contesto in cui Roma, sul 2022, pretende che gli venga restituito il 70% del fatturato, non correttamente definito extra profitto.

Se facciamo un veloce confronto dei contributi versati dalle aziende idroelettriche in altri paesi Ue, si vedrà che in Germania e in Svezia non esistono canoni legati all’uso delle acque. In Austria esiste solo una tassa per l’affitto e l’utilizzo del terreno demaniale che incide per circa 1,5 euro al mq/anno. In Francia ci sono solo canoni rivieraschi irrisori e in Norvegia un canone fisso pari a 55 euro per MW (Megawatt). “In Italia, invece, esistono ben tre canoni”, incalza Taglioli. “Il canone regionale, il canone rivierasco e il canone Bim (Bacini imbriferi montani) per un totale di 80,71 euro/kW. Avanti di questo passo, se non torniamo a produrre a pieno regime, il sistema rischia di andare in default.

Campioni d’ingegneria

La prima cosa che colpisce visitando questi impianti idroelettrici è la grande sapienza ingegneristica che ha saputo mettere in campo, storicamente, il nostro paese. Invasi artificiali, dighe gigantesche, turbine, condotte forzate scavate sottoterra, serbatoi, centrali di pompaggio e stazioni di manutenzione costruiti spesso in zone impervie, magari 80-100 anni fa.

Non appena la tecnologia ha permesso di trasmettere l’energia da una località all’altra – ossia negli ultimi anni dell’Ottocento – si è iniziato subito a sfruttare il grande bacino idroelettrico delle regioni del nord”, si appassiona Barbieri. Francesi e tedeschi avevano il carbone e ce lo vendevano a peso d’oro. “L’acqua per gli italiani divenne subito una sorta di ‘carbone bianco’, poco costoso e abbondante, che fece da innesco all’industrializzazione del paese.

La prima cosa che colpisce visitando questi impianti idroelettrici è la grande sapienza ingegneristica che ha saputo mettere in campo, storicamente, il nostro paese. Invasi artificiali, dighe gigantesche, turbine, condotte forzate scavate sottoterra, serbatoi, Apri l'immagine in modalità fullscreen Apri l'immagine in modalità fullscreen centrali di pompaggio e stazioni di manutenzione costruiti spesso in zone impervie, magari 80-100 anni fa.

Non appena la tecnologia ha permesso di trasmettere l’energia da una località all’altra – ossia negli ultimi anni dell’Ottocento – si è iniziato subito a sfruttare il grande bacino idroelettrico delle regioni del nord”, si appassiona Barbieri. Francesi e tedeschi avevano il carbone e ce lo vendevano a peso d’oro. “L’acqua per gli italiani divenne subito una sorta di ‘carbone bianco’, poco costoso e abbondante, che fece da innesco all’industrializzazione del paese.

La maggior parte dei grandi impianti ancora oggi in funzione furono costruiti nella prima metà del Novecento, sfruttando la particolare conformazione fisica della dorsale appenninica e, soprattutto, alpina, che garantisce quelle forti pendenze decisive per avere impianti ad alta produttività. In base ai dati Terna, oggi in Italia ci sono 4.654 centrali idroelettriche per una potenza totale di 21,7 gigawatt.

Il ruolo strategico fondamentale dell’idroelettrico
Primi 10 Paesi europei per potenza idroelettrica installata (GW) e quota sul totale della produzione nazionale in %
Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Eurostat e IEA, 2022

A Piateda, in Valtellina, in autunno saranno cent’anni dall’entrata in funzione della gloriosa centrale di Venina a cui afferiscono cinque dighe raggiungibili attraverso un ingegnoso sistema di trenini (lungo 12 chilometri) e piani inclinati che corrono di fianco alle condotte forzate. Le gole della Valtellina sono molto strette e scoscese. L’impianto oggi di Edison – nel Novecento era dei Falck, con il quale alimentavano il loro impero di acciaio a Milano - riceve l’acqua dal bacino del Gaggio, che è la vasca di carico. “Qui il fitto reticolo di canali e condotte visibili all’esterno rappresentano solo il 25%, il resto è tutto sotterraneo. Una volta le cose le facevano bene”, racconta un tecnico di impianto.

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▲ Sala macchine centrale Venina, 1950
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▲ Piano inclinato diga Venina

I guardiani del territorio

La seconda cosa che colpisce è che i grandi player non sono solo produttori di energia, ma anche i custodi dell’acqua e dei territori dove tutto comincia. I grandi invasi non aiutano solo l’agricoltura a valle ma garantiscono anche servizi anti-incendio, la laminazione delle piene, la pulizia delle strade di montagna per prevenire frane e smottamenti o l’alimentazione dei cannoni sparaneve per sostenere il turismo locale.

In Alto Adige senza il prezioso servizio anti-brina attivo quando i meleti sono in fioritura, semplicemente non esisterebbe il distretto della Val Venosta. In Valtellina, gli impianti Edison fungono da presidio di primo soccorso per gli escursionisti che battono le alpi Orobie, grazie ad una rete geolocalizzata di de-fibrillatori. “I villeggianti in difficoltà vanno nelle case dei guardiani delle dighe quando gli elicotteri non volano”, continua Barbieri.

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▲ La vasca di carico della centrale idroelettrica Costa in località Losso a Ottone, Val Trebbia
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▲ Le cascate del Toce in alta Val d’Ossola
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▲ La valle dell’Isorno vicino a Domodossola

Paradossi italiani

Il paradosso tutto italiano è che, nonostante la siccità, restiamo un paese che ha più piogge e più corsi d’acqua di ogni altro paese europeo. “In Italia abbiamo tanta acqua e tanta siccità allo stesso tempo, ma vi pare possibile?”, spiega Erasmo D’Angelis, tra i massimi esperti di acque e delle sue problematiche ambientali e climatiche, nel suo libro Acque d’Italia (Giunti Editore).

Abbiamo 342 laghi, ma siamo poverissimi d’infrastrutture idriche”, ragiona D’Angelis. “I grandi investimenti italiani negli schemi idrici si sono fermati negli anni ’60 del Novecento. E da lì in poi, trent’anni dopo, lo Stato ha cancellato di fatto dai fondi pubblici tutte le risorse per il bene pubblico e con la legge Galli del 1996 ha delegato per l’idropotabile tutto alle risorse della tariffa e non sono state più costruite né dighe né invasi.

Il risultato è che oggi riusciamo ad immagazzinare più o meno l’11,3% dell’acqua piovana che cade. Troppo poca. Cinquant’anni fa eravamo al 15%. Secondo l’Anbi, l’Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue, ogni anno circa 270 miliardi di metri cubi d’acqua terminano inutilizzati in mare. Per D’Angelis è un problema “di stoccaggio e distribuzione. Oggi ci mancano almeno 2.000 piccoli e medi invasi.

Non solo. Nei 600 mila chilometri di rete idrica nazionale perdiamo per strada il 42% di acqua. “Uno scandalo, la più alta percentuale mai esistita.” Mentre in agricoltura ne sprechiamo un sacco con l’irrigazione a pioggia. “Se in pianura padana si passasse a quella a goccia, ne risparmieremmo il 60 per cento.”

Nuovi invasi, nuovi bacini di raccolta e stoccaggio, impianti di pompaggio, sistemi di irrigazione tecnologici, colture più efficienti e moderne. Anche questo dovrebbe fare il Pnrr. “Finanziare la rete delle reti, che sono le vie d’acqua. La rete idrica è essenziale. Siamo rimasti all’Ottocento, al Canale Cavour, ma ora bisogna avviare un nuovo cantiere di opere come è stato fatto alla fine di quel secolo e negli anni ’50 e ’60 del dopoguerra. È un lavoro enorme, ma va fatto”, si sgola D’Angelis.

Il Paese del No

Invece troppo spesso in Italia siamo il paese del “No”. Non programmiamo nulla e viviamo sulle emergenze. “Nel 2017 abbiamo litigato tutta la primavera per via della siccità poi a luglio e agosto ha piovuto tanto, la contingenza è rientrata, e ci siamo dimenticati il problema”, allarga le braccia Trogni. Fino alla emergenza successiva.

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È in tempo di “pace” che si devono fare gli investimenti di cui parla anche D’Angelis, mettendo fieno in cascina per la brutta stagione. Non è questione di montagna contro pianura. Solo che i nodi vanno risolti in modo strutturale, se non vogliamo che l’acqua diventi definitivamente un tema di sicurezza nazionale.

Coordinamento: Luca Salvioli
Design director: Laura Cattaneo
Design: Alice Calvi, Luca Galimberti, Renato Nonno
Sviluppo: Marina Caporlingua, Renato Zitti Pozzi
Grafici realizzati in Flourish Flourish
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