Le forze russe hanno invaso il territorio dell'Ucraina nelle prime ore del 24 febbraio 2022, dopo settimane di minaccioso potenziamento militare. La giustificazione ideologica dell’operazione militare che ha visto l’attacco dispiegarsi da nord (via Bielorussia), da est (via Donbass separatista e Russia) e da sud (via Crimea e mar Nero), è stata fornita dallo stesso presidente Vladimir Putin in un discorso alla nazione il 21 febbraio.
In quell’occasione il presidente della Federazione russa ha annunciato il riconoscimento della DNR (Repubblica popolare di Donetsk) e della LNR (Repubblica popolare di Lugansk). Nella fase preparatoria dell’invasione il presidente russo si è avvalso del completo sostegno della Bielorussia di Lukashenko. Lungo la frontiera tra Bielorussia e Ucraina, che si sviluppa per oltre 500 chilometri, si è progressivamente dispiegata la forza di invasione di Mosca che si è poi fatta strada verso la capitale Kiev.
La motivazione data dal Cremlino per giustificare l’invasione, cioè quella della «denazificazione», non ha alcuna consistenza. Richiama senza dubbio la complicata storia di una regione che, prima e nel corso della Seconda guerra mondiale, ha visto alcuni leader nazionalisti ucraini stringere accordi con la Germania nazista in chiave anti-bolscevica. D’altra parte lo stesso Stalin aveva stretto accordi di spartizione con Hitler ai danni della Polonia e della stessa Ucraina.
La spietata campagna antisemita che investì la Polonia, l’Ucraina occidentale e i territori sovietici occupati trasformando per sempre il tessuto sociale di quelle terre, non può essere associata alla cultura politica ucraina, che attraversava in quegli anni tutti gli schieramenti in lotta tra loro.
Spesso viene citato il battaglione Azov come prova della natura “estremista” della dirigenza ucraina. Il battaglione, effettivamente imbottito di veterani e di idee estremiste, conta circa 3000 persone. Il partito estremista Svoboda di Oleh Tjahnybok conta 15mila iscritti (e ha conquistato 1 seggio - uno - alle elezioni), in uno Stato da 42 milioni di abitanti. Il partito del presidente, l’ebreo Volodimir Zelensky, ha preso il 73% dei voti ed ha 241 seggi alla Rada.
Il battaglione Azov
No, l’Ucraina è un paese “associato” all’Unione europea, grazie ad un accordo entrato in vigore nel 2017, che ha tra l’altro portato alla liberalizzazione dei visti Schengen per tutti i cittadini dotati di passaporto biometrico.
Le parti in quell’occasione si sono impegnate a cooperare e a far convergere la politica economica, la legislazione e la regolamentazione in un'ampia gamma di settori, tra cui la parità dei diritti dei lavoratori, la libera circolazione delle persone, lo scambio delle informazioni e formazione del personale nel settore della giustizia.
Laureato in Giurisprudenza, attore, sceneggiatore e comico. E dal 20 maggio del 2019 presidente dell’Ucraina. Nato e cresciuto a Krijv Rih in una famiglia di origine ebraica e di madrelingua russa, Zelensky ha fondato la casa di produzione Kvartal 95, che ha prodotto diversi film, cartoni animati e serie tv, tra cui Servitore del Popolo, in cui lo stesso Zelensky ha interpretato un professore del liceo che viene inaspettatamente eletto presidente dell'Ucraina.
Volodimir Zelensky attore (Afp)
Volodimir Zelensky presidente dell'Ucraina (Ansa)
Volodimir Zelensky attore (Afp)
Volodimir Zelensky presidente dell'Ucraina (Ansa)
Nel corso del primo mese di guerra la Russia ha assunto il controllo di due centrali nucleari ucraine. La prima è Chernobyl, diventata tristemente famosa per il disastro del 26 aprile 1986, che dista solo una manciata di chilometri dal confine bielorusso da dove alcuni attacchi sono partiti.
La seconda, quella di Energom-Zaporija è addirittura il più grande impianto operativo nel paese. Entrambe le centrali sono state costruite sul fiume Dnipro dove, nel secondo caso, è anche presente uno dei più grossi impianti per la produzione di energia idroelettrica del paese.
Non è ancora morta l'Ucraina è un canto patriottico ucraino, formalmente inno nazionale dal 1996. Il testo corrisponde, salvo alcune modifiche, ad un poema patriottico impregnato del rapporto tra sottomissione e ribellione scritto nel 1862 dell'etnografo e poeta ucraino Pavlo Cubinskyj. E’ un classico prodotto della “primavera dei popoli” che ha visto molti movimenti iddentisti ispirarsi più o meno direttamente alla Giovane Italia di Mazzini.
"Non è ancora morta la gloria dell’Ucraina, né la sua libertà, a noi, giovani fratelli, il destino sorriderà ancora" recita nei primi versi il testo dell’inno nazionale che, attraverso il coro, richiama poi lo spirito della “stirpe cosacca” spesso invocata come evocazione di un carattere ribelle e indomabile. Nel 1864 fu eseguito in forma corale al Teatro "Ucraina" di Leopoli, città che allora faceva parte dell’Impero austriaco.
Nel 1917 fu adottato come inno della Repubblica Popolare Ucraina, ma venne presto bandito anche per il suo spiccato carattere nazionalista con l'annessione di questa alla RSS Ucraina (Ukrainskaja Sovetskaja Socialističeskaja Respublika) nel 1920. Il testo è importante anche perché se da un lato insiste sulla comune origine cosacca, dall’altro cita esplicitamente come confini i fiumi San (ovest) e Don (est), la catena montuosa dei Carpazi nel sudovest del paese ed il Mar Nero.
No, ma fanno parte del gruppo orientale della famiglia linguistica slava. Gruppo che comprende anche il bielorusso, oltre all’ucraino e al russo. Kiev prima e Mosca (e Pietroburgo) poi sono state nei secoli le capitali culturali di riferimento per la cultura slava orientale. Uno scivolamento ad est che ha condizionato le scelte linguistiche delle élite. Molti territori dell’Ucraina occidentale furono viceversa assorbiti già nel XVI secolo nel Commonwealth polacco-lituano, finendo dunque per assorbire quantità significative di polacco.
L’ucraino, già ruteno o “piccolo-russo”, è stato di volta in volta dialetto e lingua di rivendicazione, identitaria e politica. Il grande poeta nazionale Taras Shevchenko nel XIX secolo rivendica non solo la dignità linguistica, ma anche la creazione di repubbliche slave democratiche. Sono gli anni delle società segrete di ispirazione mazziniana, che una volta scoperte costano anche al poeta anni di arruolamento forzato nelle remote province dell’Impero russo.
In quella fase è indispensabile distinguere tra le lingue delle élite (polacco ma anche tedesco nell’ovest, russo nell’est) e quelle invece usate dalla gente che andavano dal ruteno/ucraino, all’yiddish della grande comunità ebraica, all’ungherese e al rumeno. Nell’est del paese il russo comune è storicamente dominante. Ma dal 2019 l’ucraino è l’unica lingua di stato per l’uso nella pubblica amministrazione. Sappiate comunque che parlare russo in Ucraina è assolutamente normale, e - se lo usate - nessuno fingerà di non capire.
L’inno nazionale lo definisce il “vecchio Dnipro”, vecchio nel senso famigliare ed affettuoso di un fiume che è da secoli la grande arteria economica e culturale della regione. In oltre duemila chilometri nasce in Russia, attraversa la Bielorussia, raggiunge l’Ucraina a Chernobyl e bagna la capitale (che nei secoli cresce come porto fluviale) lungo la via commerciale dal Mar Baltico al Mar Nero. Ed è lungo quella rotta che nel 860d.C. genti di Kiev arrivano ad assediare Costantinopoli. Ma è anche il fiume che attraversa le terre dei cosacchi, apparsi nel XVI nell’area di Zaporizhya (“oltre le rapide”), ai confini dell’Europa.
I cosacchi sono una parte integrante dell’epos nazionale ucraino, ma non sono un gruppo etnico specifico e nemmeno un’esclusiva di questo paese. Oltre la frontiera orientale dell’Ucraina con la Russia, per esempio, i cosacchi del Don sono una parte integrante della storia nazionale di quel paese, tanto da essere i protagonisti del grande romanzo premio Nobel “il Placido Don”. Comunità cosacche autonome ci sono anche in Siberia.
Nel contesto ucraino il riferimento è soprattutto ai cosiddetti Cosacchi Zaporoghi, traduzione italiana di un suono che oggi richiama la città ucraina di Zaporizhya e che, dal punto di vista etimologico, si scompone in “Za-porizhya”, letteramente “oltre le rapide”. I cosacchi di cui parliamo e che vengono spesso citati nella storia nazionale ucraina ( e dunque nell’inno nazionale) sono proprio queste comunità, popoli della steppa originariamente nomadi che dal XVI hanno costruito un’identità propria intorno alle rapide del basso corso del fiume Dnipro, il fiume che ha cresciuto gran parte delle città ucraine.
Questi cosacchi si sono dunque progressivamente nelle steppe “libere”, tra gli allora regni di Polonia ed il Khanato di Crimea. Banditi, ribelli, mercenari, patrioti a seconda dei momenti e delle descrizioni assumono un ruolo politico nel XVII secolo quando l’atamano (comandante) cosacco Petro Doroshenko diventa ago della bilancia nella guerra che oppone la Confederazione polacco-lituana, la Moscovia e il sultano ottomano Maometto IV di cui l’atamano diventa vassallo.
Cosacchi (Agf)
Cosacchi (GettyImages)
Cosacchi che scrivono al sultano
Sono tanti, senza dimenticare che lo stesso sindaco di Kiev Vitalij Klicko è stato uno dei grandi del pugilato ed ha detenuto i titoli WBC, WBO. Oltre a Pidrutschnji ha colpito recentemente la scelta di Jurij Vernydub, allenatore ucraino dello Sheriff di Tiraspol che il 28 febbraio - a 56 anni - ha deciso di abbandonare momentaneamente la guida del club per arruolarsi nell'esercito ucraino. Tra i più conosciuti ci sono anche Oleksandr Usyk, campione dei pesi massimi di pugilato, Vasyl Lomachenko, ex campione olimpico di pugilato, Serhiy Stakhovsky, ex tennista, e Volodymyr Bezsonov, ex calciatore della Dinamo Kiev.
Andrij Mykolajovyč Ševčenko è effettivamente un famoso campione di calcio, mentre Taras Hryhorovyč Ševčenko (1814-1861) è stato un poeta, scrittore, umanista e pittore ucraino. La sua eredità letteraria è ritenuta uno dei pilastri della moderna letteratura ucraina e, in senso più ampio, della stessa lingua ucraina. Fu tra quelli che, con la sua opera poetica (e pur essendo perfettamente bilingue), impose l’uso dell’ucraino letterario sfidando la supremazia del russo.
Effettivamente lo Shaktar è storicamente la squadra dei minatori (shaktar) di Donetsk, la città del carbone e dell’acciaio all’estremità orientale dell’Ucraina. Dal 2014 la società si è però trasferita a causa della guerra, prima a Leopoli, poi a Kharkiv e infine a Kiev. Il club, fondato nel 1936, ha rappresentato per decenni nel campionato sovietico l'area industrializzata del bacino carbonifero del Donec. Si tratta proprio della zona del Donbass, epicentro della tensione e poi della guerra divampata 8 anni fa. la Donbass Arena è stato lo stadio della società, ora trasferita a Kiev.
Il calciatore Fernando dos Santos Pedro dello Shaktar Donetsk festeggia il gol con i compagni contro il Real Madrid nella Champions League (DPPI)