Coronavirus
tutto quello che c’è da sapere

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La guerra è iniziata un giorno imprecisato dell’­autunno del 2019. Durante l’inverno del 2020 si ripeterà che il primo colpo è stato sparato in un mercato umido di Wuhan, metropoli di 11 milioni di persone nel cuore della Cina. Sembra che la munizione sia stato un pipistrello che lì viene usato per fare zuppe. Forse ne faranno un po’ meno dopo l’epidemia perché il regime di Pechino si è mosso per mettere gli animali selvatici al bando.

Una malattia che viene dal pipistrello è ora la verità sull’origine del nuovo coronavirus, non la più esatta: l’Istituto superiore di Sanità italiano si limita a scrivere sul sito che il virus è passato dall’animale all’uomo ma non specifica che è stato il pipistrello. Conferma però il “salto di specie”, “Spillover” in inglese, titolo del profetico romanzo di David Quammen edito in Italia da Adelphi. Il 31 dicembre 2019 il nuovo coronavirus è stato per la prima volta intercettato, il 7 gennaio 2020 sequenziato dai ricercatori cinesi. Intorno al 20 gennaio, inizio delle feste per il capodanno lunare, Pechino lo ha comunicato al mondo.

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Cos’è il coronavirus

Lo chiamano nuovo coronavirus perché fa parte di una famiglia già conosciuta di sette virus, un gruppo che include la normale influenza ma anche la Sars che nel 2003 provocò un’altra grave epidemia, o la Mers diffusa dal 2012 nel Medio Oriente e non ancora debellata. Il gruppo coronavirus si chiama così per la sua forma che sembra una corona con le spine e comporta problemi respiratori ma non tutti della stessa gravità, la Sars era più grave del nuovo coronavirus e la Mers è più grave della Sars. Il coronavirus che ha colpito più di 90 Paesi in un mese e in particolare l’Italia è l’ultimo arrivato del gruppo, è nuovo perché non era mai stato tracciato prima ed è particolarmente contagioso, si stima che un infetto contagi almeno altre due persone (R0 da 2,7 a 3,5). Questo è uno dei principali problemi.
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Come si chiama davvero

Il nome ufficiale del nuovo coronavirus è Sars-CoV-2. La malattia che origina è la Covid-19, dove C sta per corona, V per virus, D per disease (malattia in inglese). 19 come 2019, anno in cui il virus è stato per la prima volta intercettato.
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Quando è arrivato

Come ripetono ricercatori e medici, il coronavirus si conosce da pochi mesi, il primo grande focolaio è scoppiato in Cina  tra novembre e dicembre 2019. Ragionevolmente da gennaio ha iniziato a propagarsi in tutto il mondo, sicuramente in Italia ma anche in Europa. Ufficialmente dal 21 febbraio affligge l’Italia, giorno della notizia del paziente 1 a Codogno, provincia di Lodi, Lombardia.

Con il paziente 1, il virus ha colpito l’ospedale del Lodigiano. Il paziente zero d’Europa è invece probabilmente un tedesco di 33 anni che il 24 gennaio ha manifestato febbre alta e problemi respiratori, una forma lieve che è durata fino al 27, giorno in cui è tornato al lavoro. La notizia è stata da un gruppo di medici tedeschi che ha inviato una lettera pubblicata sul New England Journal of Medicine. L’uomo era stato a contatto con una collega di Shangai.

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La mappa del coronavirus in Italia

I dati dei contagi sono aggregati per provincia e i morti per regione. Per gli altri Paesi europei il dato è nazionale.
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Le differenze con l’influenza

Dopo settimane di domande e risposte, si può sintetizzare: il coronavirus sembra ma non è influenza. I sintomi sono simili ma per il nuovo coronavirus non esiste vaccino, può provocare una polmonite per cui non esistono specifici antivirali, il virus penetra negli alveoli polmonari e può provocare crisi respiratorie che necessitano di ossigeno e terapia intensiva.

È questo quello che può mettere in crisi un sistema sanitario nazionale, anche quello italiano che viene ancora lodato nonostante i dolorosi progressivi tagli. Da qui la paura che si è fatta quotidianità poche settimane dopo l’arrivo ufficiale dell’epidemia in Italia. A mettere in crisi il sistema sanitario sono tre cose: la rapidità del contagio, il numero di pazienti che arrivano contemporaneamente agli ospedali, la lunga permanenza dei pazienti (3 settimane) in terapia intensiva.

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I sintomi

Gli ultimi dati Oms (sempre missione di febbraio) hanno fatto una gerarchia utile dei sintomi più comuni quando c’è infezione da coronavirus: febbre (88%), tosse secca (68%), spossatezza (38%), muco quando si tossisce (33%), respiro corto (18%), gola infiammata (14%), mal di testa (14%), dolori muscolari (14%), raffreddore (11%). Meno frequenti nausea e vomito (5%), naso chiuso (5%), e diarrea (4%). Il naso che cola non è sintomo di infezione da coronavirus.
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Le persone più vulnerabili

Il tasso di letalità (cioè il rapporto tra contagiati e vittime) è del 3,4% a livello globale. Il rischio di non superare la malattia che l’80% delle persone supera senza cure ospedaliere, dipende dall’età dei pazienti e dalle patologie pregresse, anche dal sesso (il tasso di letalità tra i maschi è più o meno il doppio di quello delle femmine) ma cruciale è anche la risposta del sistema sanitario del paese colpito.

Questo è quello che comunica l’Oms ma è anche quello a cui si assiste in Italia: la maggior parte dei decessi riguarda ottantenni e persone con altre importanti malattie tra cui i diabetici e coloro che hanno problemi cardiovascolari e in generale gli immunodepressi. È però anche vero che la reazione a questo virus varia da persona e persona e a volte prescinde da età, sesso e malattie preesistenti: dipende molto da come l’organismo e il sistema immunitario reagiscono all’attacco del patogeno. Così si spiega il paziente 1 italiano, il trentottenne sano e sportivo di Codogno che ha combattuto in un letto di terapia intensiva per venti giorni. Così si spiega che il 30% degli intubati in Italia al 9 marzo ha tra i 50 e i 64 anni, quindi non anziani.

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Che cos'è una pandemia

L’epidemia è diventata pandemia l’11 marzo, così l’ha stabilito l’Oms: significa che si sta diffondendo al di fuori delle misure di contenimento messe in atto in più paesi del mondo. Secondo la definizione dell'Oms, una pandemia è la diffusione in tutto il mondo di una nuova malattia e generalmente indica il coinvolgimento di almeno due continenti, con una sostenuta trasmissione da uomo a uomo. La gravità di una malattia non è il parametro decisivo perché venga dichiarata una pandemia, che riguarda invece l'efficacia con la quale una malattia si diffonde.
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La ricerca sul virus

La ricerca internazionale continua perché ancora poco si sa dell’infezione: l’Oms (Organizzazione mondiale della Sanita, acronimo in inglese WHO)  ha mandato  25 esperti in Cina, tra di loro il direttore dell’Us National Institutes of Health, Clifford Lane. La missione Oms si è svolta tra il 16 e il 24 febbraio, periodo che in Cina ha corrisposto, e questo si sapeva, alla seconda ondata di contagi. 
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Cosa dice la ricerca più importante

Dopo nove giorni di lavoro della missione Oms sui dati cinesi, questi i risultati:
Trasmissione. Quando è scoppiato un focolaio in Cina, nella maggioranza dei casi (78-85%) è stato causato da un contagio all’interno di una famiglia attraverso le ormai famose gocce del respiro o altri vettori di trasmissione fra persone contagiate. Secondo questi dati, le particelle piccole e leggere che rimangono sospese nell’aria, sono cosa diversa dalle gocce del respiro, non sono tra le principali cause di diffusione. Più di 2.055 operatori sanitari sono stati contagiati o a casa propria o nella prima fase del diffondersi dell’epidemia quando non disponevano degli strumenti di protezione (camici, guanti, mascherine).

Cure e tempi. Il 5% dei pazienti affetti da coronavirus ha avuto bisogno della respirazione artificiale. Un altro 15% ha avuto bisogno di ossigeno per respirare, e non per pochi giorni. Dalla comparsa dei primi sintomi, la malattia dura in media tra le 3 e le 6 settimane.

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Come prevenire il contagio

  • Lavare bene le mani (almeno 20 secondi e con acqua calda).
  • Se non è possibile, usare i disinfettanti, se non si è sicuri di averle pulite evitare il contatto con occhi, naso e bocca.
  • Evitare baci, abbracci, strette di mano, tutti quei contatti che possono far passare il virus da una persona all’altra attraverso le piccole gocce del respiro.
  • Tenere una distanza di almeno un metro tra una persona e l’altra.

Queste precauzioni sono ripetute giornalmente da tutti gli organi di stampa, la fonte è l’Istituto superiore di Sanità. Virologi, epidemiologi, ricercatori concordano.

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Il picco dell’epidemia con e senza misure

Questo grafico spiega qual è a oggi la strategia nei confronti del virus: ovvero quella di dilatare nel tempo la sua diffusione. Con l’obiettivo di ridurre l’impatto sul sistema sanitario dei Paesi e ridurre la mortalità.

Il picco dell'epidemia di coronavirus con e senza misure
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Il nuovo stile di vita

Niente panico, ripetono i medici, ma basta superficialità. Non creare folla. Non vivere in gruppo. Sono gli imperativi di questi giorni che si sono resi necessari perché in Italia i numeri del contagio hanno registrato un preoccupante aumento per giorni con una progressione del 25 per cento. Aumento che fa di questa emergenza sanitaria ciò che più assomiglia a una guerra. Ecco perché la richiesta accorata di istituzioni, medici e cittadini comuni di stare a casa. Evitare il più possibile mezzi pubblici, bar, ristoranti, musei, cinema, piscine e palestre. Tutti spazi chiusi con decreto alla fine.

Coprirsi naso e bocca quando si starnutisce, starnutire nel gomito e non nella mano. Non toccarsi la faccia. Se si hanno sintomi compatibili con il Covid19 (ad esempio 37,5 di febbre), rimanere a casa. Chiamare il proprio medico di base o lo 800 065 510, il numero della Croce Rossa per informazioni.

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I decreti del Governo, in fila

Dall’8 marzo al 3 aprile la Lombardia e 14 province sparse tra Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Marche diventano zone in cui è pure difficile spostarsi se non per comprovati motivi fra cui quelli di lavoro. Poco a poco le serrande si abbassano e le strade si svuotano. Anche le scuole e i negozi nel resto d’Italia chiudono fino al 3 aprile.

Poche ore dopo, l’entrata in vigore del decreto arriva La direttiva del ministero dell’Interno ai prefetti per far rispettare divieti e restrizioni. È un cambiamento epocale delle nostre abitudini. Con un successivo decreto si chiuderanno bar e ristoranti. In questa dimensione inimmaginabile in cui siamo di colpo precipitati, uno starnuto può costare un’accusa di omicidio.

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Il differente approccio tra Italia e Cina

In Cina, appena preso atto dell’epidemia, chiunque è andato dal dottore con la febbre è stato sottoposto al test del cornavirus. E’ entrata in vigore la presunzione da coronavirus: immediato il test con il risultato disponibile in giornata. In Italia, a tre settimane dall’infezione, ancora non è così: il medico di base valuta o meno in base ai sintomi e con triage telefonico. In generale le regole cinesi sono state molto più dure di quelle italiane.
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Il contagio nel mondo, Paese per Paese

Fino a marzo la stragrande maggioranza dei contagi e delle vittime è stata in Cina. Poi il coronavirus è diventato un'emergenza mondiale.
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Perché è accaduto in Italia

All’Istituto nazionale della Salute di Parigi (Inserm) hanno monitorato il coronavirus da mesi e per mesi hanno studiato la possibile diffusione nel mondo. La direttrice di ricerca Vittoria Colizza ha elencato i quattro paesi europei ad alto rischio sin dall’inizio: Italia, Francia, Germania e Regno Unito, quattro grandi economie che con la Cina hanno stretti rapporti commerciali. È accaduto in Italia ma poteva accadere altrove.

Il focolaio del virus è come un incendio, può scoppiare o morire sul nascere se non trova di che alimentarsi, è una delle spiegazioni. L’altra è che la Germania, ad esempio, al contrario dell’Italia, ha fatto dall’inizio il tampone solo ai sintomatici, quindi i numeri sono stati da subito più contenuti. Questa la spiegazione italiana.

Quella tedesca è diversa: al contrario della Germania che ha tracciato subito i casi sospetti, l’Italia si è mossa tardi, quando ci sono stati i primi morti, sostiene il Robert Koch Institut, istituto governativo che si occupa della salute nazionale ed è specializzato in malattie infettive. Il 10 marzo comunque la cancelliera Angela Merkel spegne ogni illusione nazionale: tra il 60 e il 70 per cento dei tedeschi potrebbe contrarre il coronavirus, dichiara dopo un incontro in parlamento.

Il 16 marzo l’epidemia si è diffusa in Europa. Nessuno ha più scuse e nessuno si può più nascondere, ma i Paesi procedono per ordine sparso.

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Il lessico della guerra al virus

Con il coronavirus sono entrate nel nostro lessico quotidiano parole come droplet (la piccola goccia del respiro di ognuno che veicola il virus), epidemia e pandemia, terapia intensiva, lavoro e lezioni a distanza, zona rossa (comprende 10 comuni attorno a Codogno, primo e principale focolaio italiano, e Vo’ Euganeo in provincia di Padova, il focolaio secondario) e zona arancione (tutta la Lombardia e 14 province), la parte più produttiva del Paese. I colori sbiadiscono presto: a colpi di decreto, l'Italia diventa tutta zona a rischio.
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Gli effetti sull'economia

Il nuovo coronavirus sta mettendo in ginocchio l’economia mondiale. La crisi economica 2007-2008 era quella della finanza americana, i colpevoli da mettere alla gogna erano gli algoritmi, la spregiudicatezza degli operatori, i mutui gonfiati: se volessimo individuare il vizio capitale penseremmo all’avarizia e alla superbia. Nel caso del coronavirus c’è sempre di mezzo la superbia (il regime cinese ha negato finché ha potuto, e chissà se ha detto la verità sui numeri del contagio) ma l’altro unico peccato a cui possiamo pensare è la gola.

Magari un giorno saranno pubblicate altre teorie scientifiche attendibili sull’origine del virus ma finora dobbiamo credere ai pipistrelli o chi per loro.

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Notizie false e speranze

Ovunque nel mondo e soprattutto su Internet circolano le teorie più fantasiose sul coronavirus dall’origine ai rimedi. Oltre le fake news, quello che molti sperano è che l’aggressività del virus si attenui con il caldo, anche se al momento non è una certezza scientifica. Alcuni importanti virologi non sono neanche sicuri che possa diventare una innocua influenza: non è escluso ma può accadere anche il contrario. La vera speranza è il vaccino ma bisogna aspettare ancora un po’ di tempo (12-18 mesi secondo l'OMS). Nel frattempo si tenta di capire quali farmaci siano piu’ efficaci.
Coordinamento: Luca Salvioli
Design director: Laura Cattaneo
Design e illustrazione: Andrea Marson
Data visualization: Federico Barbara, Alice Calvi, Luca Galimberti
Sviluppo: Marina Caporlingua