Donald Trump ha ufficialmente vinto le elezioni dopo aver conquistato gli Stati cruciali considerati in bilico, del Sud e del Midwest. Ha vinto anche la Pennsylvania, vero terreno di battaglia della campagna, come si può vedere dalle mappe e grafici in questa pagina.
Negli Stati Uniti, il presidente viene eletto tramite il sistema del Collegio Elettorale, un meccanismo che attribuisce un numero specifico di voti elettorali a ciascuno stato. In totale, ci sono 538 grandi elettori e per vincere la presidenza è necessario ottenere almeno 270 voti, ovvero la maggioranza semplice del Collegio.
Ogni stato ha un numero di voti elettorali proporzionale alla sua popolazione e la maggior parte degli stati adotta il sistema "winner-takes-all", che assegna tutti i voti elettorali al candidato che ottiene la maggioranza nello stato.
Solo Maine e Nebraska fanno eccezione, assegnando i voti elettorali su base distrettuale e due voti supplementari al candidato che ottiene la maggioranza a livello statale.
Poiché il peso di ogni stato nel Collegio Elettorale varia in base alla sua popolazione, stati più popolosi come California, Texas, e Florida dispongono di un numero elevato di voti elettorali. Ad esempio, la California ha 55 voti, Texas 38 e Florida 29, numeri che possono influenzare in modo significativo il risultato complessivo.
Tuttavia, molti di questi stati tendono a votare stabilmente per un partito specifico: la California, ad esempio, è un tradizionale feudo democratico, mentre il Texas è storicamente repubblicano.
Questo porta i candidati a concentrare gli sforzi su alcuni stati contesi, noti come "swing states" o "battleground states" – come Pennsylvania, Michigan, Nevada, Wisconsin, North Carolina, Georgia e Arizona – dove il risultato è meno prevedibile e la differenza di preferenze tra i partiti è più sottile. I battleground states risultano decisivi per ottenere i 270 voti necessari.
Il sistema del Collegio Elettorale rende quindi unica l’elezione presidenziale statunitense rispetto a quelle di altre democrazie dove vince semplicemente chi ottiene più voti a livello nazionale. Negli Stati Uniti, il vincitore è colui che raggiunge i 270 voti elettorali, indipendentemente dal risultato del voto popolare complessivo. Ad esempio nelle elezioni del 2000 e del 2016, un candidato ha potuto vincere la presidenza pur ottenendo meno voti a livello nazionale proprio grazie alla distribuzione dei voti elettorali nei singoli stati.
Nell’elezione statunitense del 2024, oltre a scegliere il presidente, gli elettori votano anche per rinnovare parte del Congresso, composto da due camere: il Senato e la Camera dei Rappresentanti.
La Camera dei Rappresentanti, che conta 435 seggi, viene interamente rinnovata ogni due anni, e dunque tutti i seggi sono in palio in queste elezioni. I rappresentanti della Camera hanno mandato biennale e il loro numero per stato è proporzionale alla popolazione, con stati più popolosi che eleggono più rappresentanti. Questa elezione determina il controllo della Camera per i successivi due anni, con un forte impatto sulla capacità del presidente di portare avanti il proprio programma politico.
Nel Senato, composto da 100 seggi (due per ogni stato), i senatori hanno mandato di sei anni, e circa un terzo dei seggi viene rinnovato in ogni ciclo elettorale. In questa tornata del 2024, 33 seggi senatoriali sono in palio, alcuni dei quali in stati particolarmente competitivi, dove l’esito è incerto e può influenzare la maggioranza della camera. La composizione del Senato è cruciale, poiché ha poteri come la conferma delle nomine presidenziali e il voto su leggi chiave e trattati internazionali.
L’elezione di questi due organi legislativi è quindi fondamentale per determinare il futuro politico degli Stati Uniti: il partito che ottiene il controllo di una o entrambe le camere potrà supportare o ostacolare l’agenda del presidente, influenzando l’equilibrio dei poteri a Washington.